Un festival che guarda il mondo
Altro che festival periferico, questo è un gran festival. C’è tutto il mondo, ma questa non è una novità, perché sono ormai numerose le rassegne piccole e grandi nel Belpaese che sfornano prodotti internazionali. La diversità, e, diciamolo pure, la preziosità del Riff, il Roma indipendent film festival, sta nello sguardo con cui si scelgono determinati film, documentari e corti di questa variegata rassegna: un occhio di grande comprensione e tolleranza per il dolore del mondo intero.
Chi ha visto il documentario “Suicidio Italia” di Filippo Soldi resta sgomento di fronte alla tragedia di persone che dai 28 ai 70 anni si sono tolte ultimamente la vita a causa della crisi economica. Una morte bianca legalizzata di fatto da una politica che si dimentica degli ultimi, del dolore della gente. Immagini autentiche, interviste dolorose, costringono lo spettatore non solo a fremere, ma anche a domandarsi come sia stato possibile giungere a ciò e cosa si possa fare per non perdere la speranza, specie i giovani e gli anziani, in una Italia sempre più fragile.
E fragilissima è l’Italia degli emarginati, nel caso specifico gli immigrati, come racconta il colombiano Andrès Arce Maldonado in “Carta bianca”. La storia del ragazzo tunisino – interpretata magistralmente da Mohamed Zoaoui – vittima di estorsioni, di inutili cattiverie suburbane e finito a morire per strada, è drammatica e commovente. Il regista ci butta addosso una vicenda periferica dove tutti, italiani e stranieri, vivono un dolore così profondo che inutilmente cercano di dimenticare. È il sottobosco della vita, quello della mancanza di speranza. Il giovane tunisino, che si fa chiamare Sandro, è onesto e puro, ma la vita gli toglie man mano l’innocenza. La morte diventa liberazione e sconfitta del suo sogno.
Il film non è accusatorio, ma con un linguaggio scarno e rapido, con immagini sporche alternate a pacificanti scorci naturalistici, racconta la vita degli ultimi che cercano, pur in modi sconcertanti, di venire amati da qualcuno. Anche questa è l’Italia, o meglio, l’umanità.
E, a questo proposito, il festival allarga lo sguardo su una nazione dimenticata e perseguitata come il Tibet. “Drapchi”, dell’indiano Arvind Iyer narra la storia reale di Yiga Gyalnag, cantante d’opera tibetana, rinchiusa in una prigione “politica” a Drapchi, una delle carceri tibetane più temute per quella che il governo cinese considera una attività ribelle, cioè il canto. Sono anni di isolamento, di tentativi di logoramento psicologico, ma la donna riesce a fuggire in Occidente. Il film racconta l’odissea di un viaggio tra monti stupendi, nature incontaminate e pericolose. Un viaggio dove mai la donna perde la speranza, guidata dalla sua fede nella libertà… Film delicato e struggente, ma misurato nei gesti e nei bellissimi primi piani della protagonista, lancia in modo soffice un messaggio di richiesta di aiuto per il popolo tibetano, oppresso dalla Cina. Il viso di questa piccola donna dal grande cuore è da solo l’espressione di cosa sia la luce della speranza, che va oltre i l dolore e rimane invincibile.
La lotta per la libertà anima anche "Fénix 11.23”, lavoro di Joel Joan e Sergi Lara. Anche qui una storia reale. Eric Beltran, un ragazzo di 14 anni, crea un website ispirato a Harry Potter per difendere la lingua catalana. La vicenda innesca un processo “politico” in una Spagna in tensione a causa del terrorismo e del separatismo. Il ragazzo viene processato e alla fine assolto, ma dal 2004, anno della vicenda, continua a lottare per il suo ideale di identità culturale.
Il film racconta le tensioni familiari e sociali con accuratezza, senza esagerare in toni melodrammatici, e senza indulgere a un clima accusatorio. Ma illumina una spia su un fenomeno di indipendenza culturale, comune ad altri paesi, su cui è necessario non essere troppo superficiali e avventati nel giudizio: in fondo, si tratta di un anelito al rispetto e alla tolleranza. Bravissimo il giovane interprete Nil Cardoner.
Il festival chiude l'11 aprile.