Un fenomeno chiamato Post Malone

Il tormentone di quest’autunno si intitola “Rockstar”. È un brano hip-hop firmato da un rapper anomalo per le sue propensioni folk. E ha fatto il botto: è nelle playlist di mezzo mondo, in testa alle classifiche statunitensi ed è il brano più ascoltato su Spotity, con quasi 200 milioni di stream totali. Il più cliccato debutto dell’anno.  

In Italia è attualmente l’artista straniero più venduto, “the next best thing”, come si dice in gergo discografico per sancire una meraviglia ormai prossima a sbocciare. Un cantautore col barbone e il look trasandato, una faccia a mezza via tra il triste e l’arrabbiato. Austin Richard Post è nato nel 1995 nei dintorni di New York, ma ancora bambino ha dovuto trasferirsi in Texas con la famiglia. È venuto su imparando a suonare la chitarra sul videogame Guitar Hero, ma fin dall’adolescenza s’è dato da fare per trasformare la sua passione in un vero mestiere.

E con fortuna e cocciutaggine a sorreggerne il talento, a quanto pare ce l’ha fatta. Almeno a giudicare da questo suo ultimo singolo col quale sta ammaliando il mondo. Molto lo si deve all’originalità della sua ricetta sonora, giacché il Nostro è un hip-hopper metropolitano che tuttavia si porta dentro l’approccio rustico del folk più abrasivo. E la stampa specializzata è subito andata su di giri: capita spesso anche con le meteore a dire il vero, ma per intanto Mr. Post se la gode, e ne ha ben donde, visti i dati soprastanti.

Quanto al contenuto di Rockstar siamo al copione consueto di gran parte dei rapper d’ogni dove: ragazze facili, macchinoni, canne a volontà, superalcolici e cocaina, un approccio ingrugnito alla vita speziato da frequenti parentesi vernacolari: ovvero tutto il campionario per la messa in scena del disincanto che sta contagiando i giovani Millenials di cui fa parte.

In altre parole il tutto suona come il ritratto, piuttosto furbetto e pretestuoso a dirla tutta, di chi sa come far breccia nei cuori smarriti di una generazione all’angolo, con la quale il Nostro ha però sempre meno da spartire. Una generazione – ed è questo che dice innanzi tutto la sua Rockstar – quasi del tutto priva di solide basi culturali, e che vive sulla cresta di un eterno attimo fuggente, sperando di non rimanerci avviluppata dentro. E sullo sfondo, i sempiterni sogni di cartapesta di Bel Air, con le sue feste-carnaio ai bordi delle piscine: la stessa Hollywood che domina le cronache pruriginose di questi giorni con lo scandalo Weinstein.

Difficile dire se la sua sia la denuncia o la semplice presa d’atto di un sistema nel quale Post – giocoforza – s’è ritrovato perfettamente intruppato. Di certo il ragazzone non può certo far da modello o da maestro ai suoi coetanei (del resto non credo proprio che la cosa gli interessi), ma sa ben sfruttarne le inquietudini, i malesseri e i sogni. Il sound, va detto, è intrigante assai, e il pezzo rotola via benissimo; solo mi chiedo – a costo di passare per bacchettone – a cosa serva tutto ciò, e cosa aggiunga alle portate consunte di un music-business che pare sempre più avvitato su se stesso che alla ricerca di nuovi  stimoli da offrire ai suoi fruitori.

Che dite? Sto davvero invecchiando, eh…

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