Un esempio di civiltà
Senegalesi e fiorentini si sono incontrati con il sindaco e con il ministro Riccardi per reagire alla violenza xenofoba. Maurizio Certini era presente
A detta di chi c’era, Firenze ha davvero chiuso per lutto: nel giorno dopo la strage in cui sono morti Diop Mor e Modou Samb, i negozi hanno abbassato le serrande, e il mercato di San Lorenzo è rimasto deserto. Una città che ha reagito compatta ad un gesto di xenofobia che rimane inspiegabile, e che nel pomeriggio dello stesso giorno, il 14 dicembre, si è ritrovata a Palazzo Vecchio con il sindaco Matteo Renzi e il ministro per la cooperazione internazionale e l’integrazione Andrea Riccardi. Fiorentini e senegalesi insieme, sia come singoli che come associazioni, non solo per condannare quanto accaduto, ma per prenderne vera coscienza e ripartire insieme. Tra i presenti c’era il presidente del Centro internazionale La Pira, Maurizio Certini.
L’incontro di ieri è stato annunciato come uno straordinario segnale di disponibilità sia da parte della cittadinanza che delle istituzioni: che cosa ne è uscito?
«Firenze ha risposto come sempre risponde a queste situazioni: è una città storicamente rissosa, sin dai tempi dei guelfi e ghibellini, ma anche aperta all’accoglienza, come nel caso dell’aiuto dato agli ebrei durante la seconda guerra mondiale. Per questo si è ritrovata unanime a Palazzo Vecchio per dire no a qualsiasi tipo di xenofobia. Con il ministro Riccardi è emersa la necessità di portare avanti la proposta del presidente della Repubblica sulla cittadinanza, e di dare una dimensione europea al diritto di voto alle amministrative per gli stranieri residenti da almeno cinque anni».
Casa Pound, in una sua lettera inviata al sindaco, ha ribadito la sua estraneità al gesto di Casseri e si è detta disponibile ad incontrare la comunità senegalese: una via percorribile?
«Ieri non ci sono stati sviluppi in questo senso; certo è che, come ha sottolineato il sindaco, tutti quei luoghi, reali o virtuali che siano, in cui si incita al razzismo in forma più o meno mascherata, vanno individuati e fatti chiudere. Questo sarà pure stato il gesto di un folle, ma la follia nasce anche dagli stimoli negativi del contesto in cui si vive: le parole armano la mano dei folli, basti vedere i casi di Liegi e di Torino. A Palazzo Vecchio è stata evidenziata anche la responsabilità in questo senso dei media, della politica e delle associazioni, e ritengo si sia fatto un passo importante nella direzione di un nuovo percorso educativo».
Gli scontri avvenuti a Roma, dove un gruppo dei militanti dei centri sociali ha attaccato Casa Pound, stride con la reazione pacifica di Firenze: c’è una “specificità cittadina” in questo senso?
«La comunità senegalese fiorentina ha una lunga storia di integrazione ed è ben vista, tanto che nella scorsa amministrazione è stato eletto un consigliere comunale di questo Paese. Vogliamo impegnarci per far sì che Firenze rimanga un esempio di dialogo».
Un modello esportabile, anche di fronte alla denuncia di un razzismo montante in tutta Europa da parte dell’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati?
«Ogni città deve trovare nella propria tradizione quei semi di pace che sempre ci sono: senza memoria il presente di svuota, ma la memoria va resa attuale. Il problema è che spesso i centri delle città d’arte diventano una sorta di Disneyland, pieni di turisti di giorno ma vuoti la notte. La Pira diceva che la città è come una famiglia: e qui entra in gioco l’importanza dell’urbanistica, per consentire ai vari quartieri e quindi ai cittadini di entrare in relazione. E questo è possibile solo con un piano di lungo termine, in cui centro e periferia interagiscano. Le cose grandi si costruiscono nel quotidiano: e questa straordinaria partecipazione a Firenze è stata possibile grazie alle relazioni personali, nate non solo nelle associazioni ma anche nei singoli quartieri. Ieri, a Palazzo Vecchio, si può dire che ci si conosceva tutti».
La comunità senegalese ha promosso un corteo per sabato, e sta già collaborando con le istituzioni per garantire l’ordine e la sicurezza: che cosa ci si aspetta dalle ventimila persone attese?
«Una manifestazione composta, che riprenda il filo di quanto fatto in questi giorni. La comunità senegalese va ringraziata per l’esempio di civiltà che ha offerto: sono stati loro stessi ieri a bloccare coloro che non avevano intenzioni pacifiche».