Un eroe nascosto: padre Ray Brennan
Erano gli anni ’60 e i cacciabombardieri F111 Aardvark si levavano dalla base militare Usa di Udorn, in Thailandia, diretti in Vietnam, Laos e Cambogia portando distruzione e morte; intanto, le navi della flotta statunitense nel Pacifico, portavano i loro carichi umani di soldati sfiniti dai combattimenti verso la Thailandia, per scaricarli in un villaggio di pescatori: Pattaya. Per farli riposare, i soldati diventati macchine da guerra, venivano lasciati liberi di fare tutto quello che volevano, per un mese, nella cittadina thailandese di Pattaya, che divenne in brevissimo tempo il bordello più malfamato del Sudest asiatico.
Padre Raymond A. Brennan (di famiglia irlandese, ma nato e cresciuto negli Usa) scelse proprio quel posto per la sua nuova missione, dopo 10 anni trascorsi in una villaggio vicino al confine con il Laos. A Pattaya, padre Ray andò a cercare i soldati nelle birrerie e nelle zone a luci rosse, rischiando anche la vita: beveva con loro e parlava di Dio a soldati che avevano sentito per mesi solo: “Sparate a tutto quello che si muove”, come nel massacro del villaggio di May Lai.
Se li faceva amici e chiedeva aiuto per i suoi bambini, figli loro in definitiva, mezzi americani e mezzi thai. Tutto iniziò quando una mamma portò a padre Ray il suo piccolo, nato da poco, e gli chiese di prendersi cura di quel batuffolo di umanità. Padre Ray, sorridendo, rispose: “Non ho mai allevato un bambino, ma lo accolgo: in fondo è solo uno”. Fu l’inizio della storia di solidarietà più famosa della Thailandia, che diventerà in poco tempo il “Pattaya Orphanage”. Quella mamma, tornata al mercato, diffuse la notizia che quel prete straniero accoglieva i bambini. Ben presto padre Ray ne vide arrivare a decine.
Padre Ray, in aggiunta, non rimandava mai a mani vuote chi arrivava chiedendo aiuto. Odiato da pochi e amato da tanti, intento a cercare l’acqua nel sottosuolo del suo centro di accoglienza (l’eterno suo problema); a cercare fondi e cuori che potessero aiutarlo nelle sue imprese. Appariva sempre incantato e sorridente, perchè sorpreso di tutto quanto di bello accadeva attorno a sè. Lo vedevi camminare e ti sembrava che stesse sempre per rovinare a terra, data la sua stazza considerevole. Dopo gli orfani, accolse donne che volevano cambiare vita, e poi sordi, muti, ciechi, disabili: erano tutti suoi… persone considerate gli scarti della società.
Avevo 23 anni quando l’ho conosciuto: era alto, grande e grosso, ma con un sorriso e due occhi da bambino; guidava una grossa Mitsubishi vecchia e scassata come lui. Ci siamo subito capiti. Non era certo un prete che cercava denaro per sé, nè tanto meno onori e gloria, anche se poi sarebbero arrivati anche quelli: riconoscimenti nazionali ed internazionali. Ma a lui interessavano i suoi bambini, che avessero riso a sufficenza.
Si dice che quando non ce n’era abbastanza, di nascosto andasse a chiedere l’elemosina per i suoi poveri. Era diventato una “leggenda” a Pattaya, conosciuto da molte ragazze del mestiere, che gli affidavano i loro figli. Allora come oggi, arrivando a Pattaya, a qualsiasi moto taxi basta dire: “Portami al Father Ray’s center” e ti fanno arrivare dove lui viveva e dove vivono ancora oggi centinaia di disabili. Un giorno andai da lui per un consiglio e quando uscii eravamo diventati amici. Mi dissi: “Questo è un uomo vero”. L’opera di Padre Ray è ancora in piedi, a 20 anni dalla sua morte, ed anzi, grazie alla dedizione dei Redentoristi della provincia di Thailandia, è in pieno sviluppo.
Poco tempo fa sono arrivato a Pattaya per lavoro, e mi sono fermato alla grande festa in onore di padre Ray. La gente celebrava un grande uomo, non tanto il prete, forse di più: uno che ancora oggi sta cambiando la faccia della Thailandia. E come tante persone autentiche, per esempio madre Teresa di Calcutta, anche lui ha passato, alla fine della sua vita, una “notte dello spirito” tipica di chi ha saputo costruire qualcosa di bello per l’umanità. Fu accusato ingiustamente (e su commissione) da un giornale inglese, di aver venduto dei bambini. Un’accusa profondamente ingiusta, poi rivelatosi commissionata e inventata per screditarlo (sarà poi ritrattata e sconfessata), ma che devastò l’animo sensibile ed il fisico di questo prete, ormai anziano e ammalato, che era arrivato alla fine della sua vita.
Anche s. Alfonso Maria de’ Liguori, fondatore dei Redentoristi, attraversò la sua notte oscura alla fine della vita: e padre Ray, in un certo senso, ne ha calcato le orme e ne è pienamente figlio spirituale. Come ama dire il mio amico monaco buddhista Phramaharattanatavorn: “Un santo appartiene a tutta l’umanità e le sue idee arrivano fino ai confini dell’universo”.
Padre Ray era e rimane uno che ha amato la Thailandia, un “eroe nascosto” ma non alla sua gente: perchè ha saputo trasformare enormi difficoltà in amore concreto per migliaia di persone. I suoi occhi erano due perle, finestre della sua anima, e la sua bocca esprimeva quanto aveva nel cuore: un’infinito amore per gli ultimi, gli invisibili, gli scartati e gli abbandonati. Una figura quanto mai attuale che, speriamo presto, possa essere indicata dalla Chiesa come un esempio di santità.
–
Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre riviste, i corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it
–