Un dottorato per la vita consacrata

Un’atmosfera composta, serena. La dottoressa in teologia della vita consacrata, Chiara – come la si chiama familiarmente -, non è presente. Ma nella sala gremita di studenti delle diverse nazionalità, di religiose e religiosi e di aderenti ai Focolari, l’assenza quasi non si avverte, tanto la sua figura e la sua opera sono al centro dell’attenzione, anche grazie ad un breve filmato-intervista che verrà proiettato poco prima della laudatio. Il prof. Santiago M. González Silva, preside dell’Istituto di vita consacrata Claretianum, espressione della Pontificia Università Lateranense, dopo che il coro giovanile ha cantato una versione polifonica del Veni Creator, ne traccia infatti una presentazione sobria ma efficace. Ricorda come 25 anni or sono si è svolto il primo incontro al Claretianum – attraverso Graziella De Luca, una delle prime focolarine – con l’Opera di Maria; riflette sulle preoccupazioni di molti, oggi, sul futuro della vita consacrata, ma è ottimista nel rilevare il vangelo, dispiegato dallo Spirito nei secoli con la molteplicità di carismi. Uno di questi – quello portato dalla Lubich – viene proposto ai 407 alunni di 57 nazioni, rappresentanti di ben 177 istituti, che frequentano l’università. L’avvio del preside prepara la laudatio del prof. Fabio Ciardi, docente al Claretianum, che illustra i motivi del dottorato alla Lubich. Dopo aver ricordato il proprio incontro giova nile con la spiritualità dell’unità dei Focolari e la sorpresa nel costatare in Chiara il bisogno di partecipare al carisma di tutti i santi (quindi anche a quello degli Oblati di Maria Immacolata, cui appartiene Ciardi, ndr), scopre tre motivazioni fondamentali: l’aver elaborato una dottrina sui carismi della vita consacrata , con l’originale intuizione dello spiegarsi di Cristo lungo i secoli, come un vangelo vivo, in cui i fondatori sono contemplati come autori di una dottrina che si fa vita: una visione in certo senso profetica della Lubich già in età preconciliare. Poi, l’apertura della spiritualità di comunione – tipica dei Focolari – fin dall’inizio alle varie forme di vita consacrata, accogliendone migliaia di membri. I quali, in misura di quanto si immergeranno nel vangelo, da cui tutti i carismi sono nati – e questo anche grazie alla spiritualità focolarina – ritrovano un contatto più fecondo con la propria particolare sorgente. Perché – osserva la Lubich, con la metafora del giardino – non basta fermarsi a guardare solo il proprio fiore, ma piuttosto tutti gli altri fiori: un’originale metodologia ermeneutica. Infine, Ciardi espone la terza, e fondamentale, motivazione. L’aver la Lubich creato una nuova forma di vita consacrata, il focolare comunità di vergini e sposati disposti a vivere con la presenza spirituale di Cristo fra loro: un progetto di vita impegnativo, di radicalità evangelica, che forse fa ripensare l’idea stessa di consacrazione. Dopo la chiara esposizione di Ciardi, è la volta del momento culmine, con la consegna del diploma e della toga, da parte del preside e di un gruppo di giovani religiosi – in segno di gratitudine da parte delle nuove generazioni – a Graziella De Luca, rappresentante della Lubich. È lei quindi, dopo il mottetto polifonico Ave Maria, a tenere la lectio, scritta da Chiara. Un’esposizione sintetica, profonda e lineare, della storia spirituale della Lubich e delle sue scoperte: lo sposalizio con Dio, Dio-amore, il vangelo vissuto, l’amore reciproco, Cristo crocifisso e abbandonato… E poi, la diffusione dei Focolari, l’invito del pontefice alla comunione fra movimenti e nuove comunità, culminata con l’evento, lo scorso maggio, della giornata Insieme per l’Europa, un convegno ecclesiale ed ecumenico di portata internazionale per realizzare un’Europa dello Spirito. La sala è attenta, densa di silenzio per un testo che è come un annuncio, per chi lo conosce e per chi lo ascolta per la prima volta. Ma sono parole piene di luce. Così, dopo che la De Luca ha concluso, l’applauso che risuona è ricco di risonanze spirituali, per nulla accademico. Naturale che tutto si concluda con un gioioso mottetto e poi una festosa accoglienza dei convenuti negli spazi del Claretianum, in un autentico momento di comunione. Forse quella presenza di Cristo fra i suoi, così cara alla Lubich, si è davvero realizzata

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