Un dono che non si misura
Perdonare etimologicamente deriva dall’omonima parola latina tardiva che esprimeva la remissione completa di un debito come rinuncia volontaria dettata da un motivo più grande. Il per-dono indicava dunque un dono che si offre in modo completo, un dono perfettamente compiuto. Sul perdono, soprattutto in questi ultimi mesi, spesso è tornato Giovanni Paolo II: “Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono” è stato il suo forte monito. “Il perdono – ha spiegato – può apparire una proposta per certi versi paradossale, che potrebbe sembrare una debolezza, ma che, per essere concesso ed accettato, suppone una grande forza spirituale e un coraggio morale a tutta prova”. Ma che cosa significa, in concreto, perdonare? Ne parliamo con i Ragazzi per l’unità che, in un loro messaggio indirizzato ai capi di stato nel maggio 2002, e sottoscritto da oltre 220 mila persone in tutto il mondo, spiegano che “amare i nemici, dimenticando le offese del passato ed imparando a perdonare” è uno dei segreti della vera pace. Atto dei singoli che vedono possibile nella società, realizzabile tra i popoli, attuabile anche tra gli stati: certezze che nascono dal quotidiano. Heliosa, Brasile Avevo dodici anni quando i miei genitori si sono separati. Ne ho sofferto molto, ma c’era un dolore in particolare che non mi dava pace: non riuscivo a perdonare papà per averci lasciato formandosi un’altra famiglia. All’inizio, quando chiamava al telefono, non volevo rispondergli. Quella frase del Vangelo, però, che ci invita ad amare anche i nemici riaffiorava spesso nella mia mente: mi sembrava un invito che Gesù non smetteva di suggerirmi. Così, un giorno, ho chiesto aiuto a lui per riuscire a fare questo passo. Anch’egli sulla croce si era sentito abbandonato dal Padre, ma aveva continuato ad amare. Dovevo fare lo stesso. Intanto si avvicinava la festa del papà. Vedendo i miei compagni di scuola che preparavano i regali, mi venne un’idea: quel giorno sarebbe stata l’occasione per dimostrare al mio papà che lo avevo perdonato. Confezionai con tutto l’amore il regalo per lui e glielo portai. Scartandolo si commosse e mi spiegò che, al di là di tutto, per lui la cosa più importante erano e rimanevano i figli. Da quel momento i nostri rapporti sono cambiati: era come se avessi riaperto a lui la porta del cuore. In una telefonata mi ha poi confidato di sentirsi molto solo. Ho colto l’occasione per andare più in profondità con lui parlandogli della mia scoperta di Dio, che ama ognuno immensamente. Mi ha salutato sereno e, volendo continuare a parlare di questo argomento, mi ha assicurato che sarebbe venuto a trovarmi. Vivere questa situazione non è facile. Ma cercando di amare, ho capito che tutti possono sbagliare, ma che ognuno deve avere la possibilità di ricominciare. Rafael, Svizzera Lavoro da qualche tempo in una banca come cassiere. Un mattina si è presentata al mio sportello una ragazza che, apparentemente, mi sembrava di non conoscere. Controllando un suo documento, però, ho capito di avere davanti la persona che, cinque anni prima, aveva ingiustamente accusato mio padre. Adesso quella brutta avventura era finita ed il mio papà era stato riconosciuto innocente. Quel nome, però, riportava la mia mente ad un periodo molto doloroso per tutta la nostra famiglia nel quale papà aveva anche dovuto difendersi in tribunale. Tutti avevamo vissuto con lui e pregato per lui: era stato il nostro modo per sostenerlo percorrendo insieme quel difficile cammino. “Che fare – mi chiedevo – adesso che ho finalmente davanti la persona che ci ha fatto così male?”. Mentre una folla di pensieri occupava la mia testa, uno tra tutti iniziò a farsi strada: Gesù nel vangelo chiede di amare tutti, anche i nemici. E di perdonarli. Sentivo di dover dimenticare giudizi e pregiudizi per riuscire a guardarla con occhi nuovi e puri. Con gesti calmi e misurati, portai a termine, meglio che potevo, le operazioni che mi aveva richiesto. Poi, voltandomi verso di lei, accompagnai l’annuncio della fine del mio lavoro, con un sorriso e, passandole attraverso il vetro la ricevuta, vi feci scivolare anche una cioccolata. Piccoli segni per esprimere il mio perdono e la volontà di dimenticare tutto. Mentre usciva mi venne spontaneo ringraziare Dio: certamente lui aveva fatto in modo che quella ragazza incrociasse di nuovo la mia strada per darmi la possibilità di perdonare ed iniziare una nuova pagina. In Patagonia Qualche tempo fa le autorità argentine hanno deciso di costruire una discarica nucleare in Patagonia, la regione più meridionale del paese, famosa per la bellezza della natura incontaminata. Il terreno scelto, tra l’altro, era vicino alle abitazioni e vi era il pericolo di contaminazione per alcuni corsi d’acqua della zona. Tra la popolazione c’è stata una vera e propria sollevazione, con varie forme di protesta. Si era creata tensione tra le persone e gli amministratori. Noi, Ragazzi per l’unità, dovevamo fare qualcosa. Vivere per un mondo più unito vuol dire anche preservare la natura che ci circonda. Dovevamo però iniziare riportando la pace tra gli abitanti e le autorità. Sentivamo che, rispondere al male col bene, significava andare al di là dell’istintiva ribellione contro quell’atto fino a coinvolgere tutti in una discussione che fosse costruttiva e propositiva. Per questo, anche con l’aiuto di alcuni adulti, abbiamo elaborato un progetto da presentare agli abitanti della città. In esso spiegavamo, tra l’altro, che le scorie da smaltire erano già state prodotte e non era possibile eliminare il problema solo con un “no” da parte nostra. Per questo suggerivamo un luogo meno pericoloso, lontano dalle abitazioni, che permettesse di proteggere la popolazione di oggi e di domani. Abbiamo presentato la proposta attraverso tivù, radio e giornali. Abbiamo raccolto firme, parlato con le persone, ascoltato le loro idee e spiegato le nostre proposte. I Ragazzi per l’unità di tutta l’Argentina ci hanno aiutato facendo conoscere il problema in tutto il paese. Insieme abbiamo raccolto più di 15 mila firme di adesione al messaggio, consegnate poi alle autorità governative e agli enti internazionali che lavorano per l’ecologia. In molti, incontrandoci per strade e piazze ci hanno ringraziato: con la nostra azione avevano preso coscienza del problema, avevano capito i termini della questione, avevano potuto prendere una posizione ed esprimerla.