Un direttore controcorrente

Roma, febbraio. L’umorismo cordiale e la facilità aneddotica sono leggendari. Ma in teatro è un professionista di ferro. Suggerisce all’arpista: Prego, ripeta quella frase, non la sento, sorride al clarinettista coscienzioso: Non sbagli, perché lei la sentono tutti… Quanto a me, se faccio uno sbaglio, non se ne accorge nessuno. Con la finezza dell’autoironia porta avanti le prove, al Teatro dell’Opera. Maestro, cinquantatré anni di matrimonio con la direzione d’orchestra. Ricorda la sua prima volta? Ero sfollato a Padova dalla mia città, Adria, dopo l’alluvione del Polesine. Il direttore del conservatorio, Pedrollo, mi dice: A te piace ‘sbacchettare’, metti su un Rigoletto con un gruppo di giovani cantanti. Avevo 20 anni: ho debuttato così, il 19 dicembre del ’51. Ma non ero emozionato: dirigevo la banda nell’associazione cattolica, istruivo un coro nella mia città, insomma ero uno che faceva il finimondo, perché la passione per la musica era da sempre e totale. A tre anni e mezzo ho visto il Rigoletto, a cinque avevo già deciso di fare il direttore e che la mia prima sarebbe stata proprio quest’opera: incredibile, ma è successo! Poi, ho studiato forte, imparato a suonare violino, viola, contrabbasso, corno, timpani. Ma il mio hobby resta la tromba: ne ho otto a casa, mi manca solo quella dell’automobile (ride di gusto, ndr). Comunque, dopo quel Rigoletto un impresario mi ha ingaggiato: ho fatto tanta gavetta in provincia, per farmi le ossa. Pensi che ho compiuto 21 anni a Roma, dirigendo l’Otello con Mario Del Monaco, un artista eccezionale. Ho lavorato dappertutto, in situazioni a volte tragicomiche: c’erano i direttori che litigavano con gli impresari, e allora subentravo io. Come mi accadde a Lisbona, con un’Aida che ho diretto senza nessuna prova. Da allora ha guidato orchestre e cantanti di prestigio in tutti i continenti. Ha incontrato personalità eccezionali. Un’esperienza unica., Nella mia generazione abbiamo conosciuto dei colossi. Con alcuni è nata una vera amicizia: pensi che i miei due gemelli si chiamano Carlo e Aldo come Bergonzi e Protti (celebri tenori e baritoni degli anni Cinquanta-Sessanta, ndr). Ma credo che anche oggi ci siano delle buone voci. Il guaio sono tanti direttori che non aiutano i cantanti ad entrare nello stile di un’opera, a fare la musica. Invece, bisogna farla, contro tutto e contro tutti. Mi spiego. Se noi due leggiamo una partitura, vedremo delle cose diverse l’uno dall’altro, perché entrambi cerchiamo una verità che non può essere rigida: ogni nota va interpretata, se no non c’è entusiasmo. Per questo, cerco di coinvolgere tutti, cantanti e orchestra, perché ogni sera deve essere una cosa nuova. Io ho abolito la parola tradizione, preferisco parlare di stile di un’opera, un termine che nessuno usa. Oggi vedo musicisti formidabili (ironico, ndr) che suonano Mozart con delle loro cadenze in cui ci sono Paganini, Prokof’ev ecc, del tutto fuori dalla sensibilità mozartiana. Essa va invece rispettata. Così all’opera si possono accettare i bis, se un cantante fa me- glio la seconda volta della prima, purché aderisca allo stile del compositore. Certo, ho avuto incontri con direttori eccezionali: Karajan, non so se fosse più musicista o più intelligente; Mitropoulos, Votto, Molinari-Pradelli. Persone nate per la musica, ho respirato la loro aria. Ricordo dei momenti gustosi: mi trovavo con Karajan a Vienna per una Carmen: il direttore inizia a rallentare e Karajan Ma perché rallenta! e se ne va. Giusto l’anno dopo, sono con Franco Ferrara (grande direttore, ndr) a Firenze ad una Adriana Lecouvreur: entra Ferrara e dice Ma perché rallenta! e se ne va pure lui (ride, ndr). Il mio modello comunque resta Toscanini: da lui si può sempre imparare: senza copiarlo, però. Che ne pensa dei suoi colleghi direttori e dei registi d’opera? Io non ho colleghi, perché loro fanno i direttori, ed io un altro mestiere. Sono l’ultimo nel mio campo ed essi i primi nel loro… Io non so da che princìpi partano, anche perché oggi un giovane, appena diplomato, comincia a dirigere senza fare la gavetta. Va sul podio con mille problemi tecnici e di interpretazione. Eppure, dicono di lui che ha una natura musicale. D’accordo, ma la natura va modellata! Credo che siamo alla frutta. Tanti puntano a far soldi (se penso alla inaugurazione della Fenice…), e al divismo che va di pari passo con la moda; ma poi le mode passano ed è la cosa solida quella che rimane. Altri magari dirigono una Bohème col cuore però, mettiamo, al Falstaff. Io credo invece al compositore che sto interpretando quella sera, per me in quel momento è il più grande. Quando si fa musica ci vuole la fede, la musica è un credo, bisogna credere nel compositore. Quanto ai registi, la maggior parte sono dei terroristi dell’opera, spesso senza buon gusto: non conoscono la musica, fanno la regia aiutandosi con il libretto dei cd operistici: una cosa inaudita. Ma allora l’opera ha un futuro o bisogna accontentarsi di eseguire solo i grandi maestri del passato? E chi lo sa! Schönberg diceva che la miglior melodia forse non è ancora stata composta e che comunque sarà in do maggiore, la tonalità più consueta. Guardi, però, che io non dirigo solo opere, ma anche musica sinfonica, fin da quando nel ’58 andai per un mese a Zurigo dove sono ancora oggi. Certo, i contratti per le opere mi arrivano molto presto, ho già impegni per il 2007-2008. Ma ad esempio vado spesso per la sinfonica con la orchestra Nhk del Giappone, dove apprezzano le persone che fanno sul serio, perché io non cedo a compromessi artistici. Il suo è un rigore morale premiato dall’affetto del pubblico che le darà molta soddisfazione. Speriamo che mi ami! Critiche negative ce ne sono, ma ognuno può scrivere liberamente… secondo coscienza. Io resto però una persona serena, vivo in un ambiente tranquillo, in Svizzera, senza le agitazioni dell’Italia. Sono soddisfatto del lavoro che ho fatto e mi dico che mi resta ancora parecchio da lavorare. Poi, ho la fede, la salute, e sono felice con mia moglie dal novembre 59: abbiamo tre figli, tre nipotine. Nel 62, lo sa, ho debuttato al Metropolitan di New York e vi ho lavorato per 29 stagioni: ho lasciato perché sono diventato padre… Ma mia moglie col tempo diventa sempre più bella: pensi che in Italia, vedendola, avevano pensato che mi fossi risposato! (ride di gusto, ndr). Torniamo alla musica. Quando sta sul podio, cosa prova di particolare? Mah, io devo solo dirigere, far musica, trovarla. Devo dialogare con l’orchestra perché la musica dice l’inesprimibile. Ecco, quando si dirige è come una trasmissione del pensiero. Tutti i musicisti lo ricevono, la gioia sta nell’avere, direttori e orchestra, il medesimo pensiero. Pure con i cantanti, perciò bisogna aiutarli, respirare con loro: far cantare tutti, anche l’orchestra. Così si riesce a dire quello che le parole non possono esprimere.

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