Un Dio che si svuota
Fa impressione che il convegno della Chiesa italiana in apertura delle giornate di lavoro punti lo sguardo con decisione sull’abbassamento e sull’autosvuotamento di Dio. Se la meditazione col profeta Isaia si è concentrata sul Messia sofferente che «non ha apparenza né bellezza» perché si è addossato gli altrui dolori e sofferenze, ieri è risuonato nell’Assemblea il noto brano dell’apostolo Paolo ai Filippesi che chiede di avere gli uni verso gli altri «gli stessi sentimenti di Cristo» che «svuotò se stesso assumendo condizione di servo».
Immagine di un Dio apparentemente “debole”, che fa spazio all’essere umano e ci chiama a far spazio l’uno all’altro, lascia libero e allo stesso tempo si fa carico dell’altro. E pensare che questo brano della Scrittura – come ebbe a notare nel maggio scorso la teologa Serena Noceti –non era mai risultato nei documenti della Chiesa italiana!
Forse anche questa è tra le novità del Convegno di Firenze o meglio: del cammino che l’ha preceduto e che dopo la chiusura dovrà continuare. Una novità che era presente già nella traccia preparatoria e su cui ha spinto papa Francesco nel suo discorso al convegno. Perché da quest’immagine di un Dio “svuotato” – ha fatto capire – discende un preciso stile di essere Chiesa e di rapportarci: Dio «diventa sempre più grande di se stesso abbassandosi. Se non ci abbassiamo non potremo vedere il suo volto».
Nei lavori di gruppo risuona quest’idea dello “svuotamento”, ma soprattutto diventa esperienza: anziché moltiplicare le parole, col passare delle ore si moltiplica l’ascolto. Svuotandosi, per sentire con gli altri e accogliere, si scopre nel loro vissuto e nel loro racconto tanta donazione nel quotidiano di cui spesso non siamo consci, ma che in realtà fa la differenza. Strana cosa: svuotarsi diventa la via per guardare la realtà con occhi nuovi e scoprire tanti germogli vivi dove paventavamo di trovare solo un terreno arido.
Non a caso, nel suo saluto al convegno, l’imam di Firenze e presidente dell’Unione Comunità islamiche d’Italia, ieri mattina ha affermato: «Abbiamo bisogno di essere umili, perché spesso siamo arroganti». Dobbiamo aiutare gli altri a essere quello che sono e allora possiamo costruire un dialogo, un confronto coraggioso. «Questo può veramente creare una nuova cultura, dove la realtà dell’altro è un dono e una risorsa e non un nemico da guardare con sospetto». Lavorare insieme – ha riconosciuto – è un cammino lungo, faticoso, ma l’unica strada per avere un futuro di pace.
Dal canto suo la pastora valdese, prof.ssa Letizia Tomassone, ha messo in luce che l’abbassamento volontario di Cristo cui è seguito un innalzamento operato da Dio, «ci chiede di cambiare paradigma antropologico». Dal punto di vista ecumenico, «interpella le Chiese sulla loro storia di conflitti dottrinali e di battaglie per il potere». Paolo non colpevolizza e non rimprovera, ma invita ad alzare lo sguardo: «Chi è Cristo per noi oggi, nel suo farsi povero e svuotarsi della sua divinità? Egli chiede anche a noi un cammino di svuotamento, uniti nell’ascolto del mondo».
Per secoli – le ha fatto da eco il rabbino capo della comunità ebraica di Firenze, Rav Joseph Levi – ci siamo concentrati sulle differenze e quindi sulla competizione e sull’odio. «Abbiamo descritto l’altro in colori grigi, proiettando su di lui quella parte oscura che abbiamo dentro di noi». Il dialogo che sta crescendo, ci ha permesso di vederci in modo più chiaro, più realistico. Uno dei suoi significati è «accettare l’altro nella sua complessità». Solo così possiamo rispondere al mondo che aspetta da noi una comunicazione comune all’umanità.