Un declassamento che non informa, eppur nuoce
La "storiella" di due amici spiega le logiche che stanno dietro alla vicenda dell'agenzia di rating Standard & Poor's
Immaginate un gruppo di appassionati di automobilismo che si ritrova a cena dopo tanto tempo. Italo arriva con una berlina di buona marca, ma con qualche annetto e anche con qualche striscio. Ai compagni basta un colpo d’occhio per capire che è ancora un’auto discreta, di certo non peggiore delle loro. Se Stan, noto per essere il raffinato del gruppo, va incontro ad Italo finché posteggi e lo accoglie con un «Ultimamente gli affari ti vanno male, mi pare», abbiamo capito tutti sull’auto di chi ci sarà qualche battuta durante la cena. Se invece Stan avesse detto un’altra frase, né più né meno vera della prima, come «Bhè, è sempre un’auto di classe», Italo avrebbe fatto meno fatica a trovare qualcuno che volesse sedersi vicino a lui.
Mi si perdoni questa storiella di fantasia, ma il declassamento del debito pubblico italiano da parte di Standard & Poor’s gli assomiglia molto. Quanta informazione aggiuntiva ha dato al mercato il nuovo verdetto? Pochissima, perché qualunque investitore professionista conosce già molto bene l’ammontare del debito, il livello del deficit, i contenuti delle manovre, le previsioni del gettito tributario e il quadro politico del nostro Paese, che, a differenza di qualche sconosciuta società per azioni quotata in qualche lontana borsa, è tutti i giorni sotto i riflettori di stampa, TV e blogger vari. Eppure, come abbiamo visto, le considerazioni già note esposte dall’agenzia di rating, accompagnate da un ‘voto’ bassino, riescono a pesare in modo significativo sulla fiducia che il mercato è disposto a dare ai nostri titoli di Stato.
Strano, no? Fino ad un certo punto. Nel mercato si comprano dei diritti con l’intenzione di rivenderli, forse tra qualche ora, forse addirittura tra qualche minuto. Allora non contano solo le mie opinioni personali sull’affidabilità della Repubblica dello stivale; conta anche, se non di più, quali opinioni, illusioni o pregiudizi alberghino nella testa degli altri operatori, o dei loro clienti. È per questo che basta anche la ripetizione di fatti già noti – ma pronunciati da un alto pulpito, ascoltato da tanti – per fare la differenza. E così anche un giudizio un po’ malevolo, se creduto dal mercato, può rivelarsi una buona previsione, se viene preso come opinione condivisa dagli operatori finanziari. Per la stessa ragione, però, potrebbe rivelarsi indovinato anche un giudizio un po’ più benevolo.
Un’ultima osservazione. Stan lo sa che le sue parole possono guastare la cena di Italo, di Franco o di Austro (scusate, come nome proprio non è un granché). Se quelle parole Stan le dice lo stesso, magari un po’ di malevolenza c’è. E Standard & Poor’s, invece?