Un cronista ed il suo diario
Carlo Bo ha definito la vita di Sergio Zavoli “una lunga ed appassionata storia di stimolatore di coscienze e di intelligenze”: l’ultimo suo lavoro narrativo Diario di un cronista. Lungo viaggio nella memoria (Mondadori, 2002, pp. 638, M 20,00) ne è forse la testimonianza più efficace. Il libro è davvero un esempio di “narrativa della memoria” fra cronaca, costume e storia: tre scenari, tre linguaggi, tre spaccati di umanità attraverso stagioni tremende e straordinarie, per sottrarre all’oblio ciò che il nostro paese non può dimenticare. Il lavoro di un cronista attento come Zavoli, che ripercorre un secolo di storia, non mancherà di trovare l’interesse di chi c’era e di chi di quegli avvenimenti ha solo sentito raccontare. Elaborati dalla memoria viva di Zavoli, scorrono, sotto gli occhi del lettore molti passaggi cruciali della vita e della storia d’Italia, raccontati da un testimone del nostro tempo attraverso i documenti d’epoca e le testimonianze raccolte. Si passa così dalla liberazione di Mussolini dal Gran Sasso alle memorie di Bettino Craxi, dal delitto Matteotti ai drammi del terrorismo, dalla nascita della Repubblica al Concilio Vaticano II indetto da Giovanni XXIII, dall’alluvione nel Polesine a Tangentopoli. Il materiale storico, estremamente ricco, è esposto nella inimitabile forma giornalistica che riconosciamo a Zavoli, in grado di dare al lettore la conoscenza e l’approfondimento dei fatti quasi in tempo reale. È per questo che gli appunti di questo simbolico “diario”, riempito in cinquant’anni di radio e di televisione, attraverso trasmissioni come Tv7, La notte della repubblica, Credere non credere e molte altre, danno al valore della memoria viva tutta una prospettiva proiettata sul dopo, sul che cosa sarà in futuro. Tv Nascono le minimaliste Per ora hanno il sapore di una goliardica provocazione, ma in futuro, chissà. Stiamo parlando delle emittenti televisive di quartiere, anzi di “strada”, sorte con un obiettivo dichiarato a dir pocoutopistico: opporsi alla “dittatura televisiva” Mediaset- Rai. La prima emittente nata è la tv bolognese Orfeo che, grazie ad un piccolo spazio libero trovato nelle frequenze, trasmette esclusivamente per gli abitanti di via Orfeo, di via Rialto e di qualche strada limitrofa. Più in là il segnale non arriva. Tema della prima trasmissione: il ricordo dedicato al barista di quartiere, appena scomparso. L’esempio di creare tv “dal basso” rischia di essere contagioso: è già nato infatti un sito www.telestreet. it che riporta il manifesto delle tv di strada, l’immancabile forum di discussione ed una mailinglist, all’insegna di una voglia di riappropriazione del mezzo televisivo sotto lo slogan “una, cento, mille televisioni di strada”. Pubblicità Se non si imprime nella mente Gli spot non rendono se le trasmissioni televisive in cui sono ospitati hanno contenuto erotico o violento. Non si tratta di un’indicazione di fonte “moralista”. È quanto emerge da uno studio compiuto dall’università statunitense dello Iowa, pubblicato sul Journal of Applied Psichology, l’organo ufficiale degli strizzacervelli americani. Ad un campione rappresentativo di telespettatori sono stati assegnati, a caso, alcuni programmi da guardare: violenti, a contenuto sessuale e neutri. Ogni trasmissione è stata interrotta da nove spot pubblicitari che reclamizzavano prodotti di largo consumo. Un test a sorpresa a fine trasmissione ed uno dopo 24 ore ha verificato quali messaggi erano rimasti impressi nella memoria degli spettatori. Il risultato ha del sorprendente: i migliori “bersagli” per la pubblicità sono risultati coloro che hanno avuto in sorte programmi “normali”. E questo indipendentemente dall’età, del sesso dello spettatore e dal gradimento o meno dello spettacolo. Varie le ipotesi formulate per dare ragione al fenomeno: Bushmann e Bonacci che hanno condotto lo studio ritengono che quella più fondata stia nella capacità delle scene di sesso e di violenza di catturare e saturare le potenzialità di memorizzazione degli spettatori, sottraendo attenzione verso i messaggi pubblicitari. Insomma, se la programmazione televisiva si dimostra poco influenzabile da genitori o cittadini preoccupati, le solide argomentazioni fornite dalla psicologia applicata alla reclame avranno in futuro un peso significativo sugli sponsor e sulle loro disponibilità a pagare la pubblicità.