Un continente in cerca di fraternità
Quale contributo può dare il carisma dell'unità? Intervista a Genevieve Sanze, coordinatrice della prima Summer school Edc Africana. Dal sito EdC.
L’Africa è il secondo continente al mondo per estensione con una superficie di circa sette milioni e mezzo di chilometri quadrati, ha tantissime tribù, gruppi etnici o comunità con culture, abitudini, modi di vivere, lingue molto diverse. Il Movimento dei focolari è arrivato nell’Africa sub-sahariana, in Camerun, nel 1963. Da li, un po’ alla volta, la spiritualità dell’unità è ora vissuta in tutto il continente, anche se in maniere differenti da un paese all’altro.
Chiediamo a Genevieve Sanze, membro della commissione internazionale dell’Economia di comunione, e coordinatrice della prima Summer school Edc Africana, di raccontarci un po’ di storia del Movimento dei focolari in questo continente. «I primi focolarini ad arrivare in Africa – ricorda – furono italiani. Essi vennero con l’obiettivo principale di dialogare, conoscere, amare, vivere insieme al popolo africano. Come in tutte le relazioni, specialmente provenendo da ambienti socioculturali cosi diversi, era normale che ci fossero incomprensioni e difficoltà iniziali da ambo le parti. Lucio Dal Soglio, uno dei primi medici ad andare a Fontem, racconta: “Siamo andati in cima ad una collina e il chief che ci accompagnava per mostrarci qual era la nostra terra, ci ha mostrato tutta la pianura sotto e ha detto: “Quello che vedete sotto è tutto vostro”. E noi abbiamo detto: “Bello, almeno questo è chiaro”. Poi andiamo a tagliare un piccolo albero, e ci dicono: “No, non potete tagliare quello”. E noi: “Come no, se tutto è nostro”. Rispondevano: “È vostra la terra, ma non gli alberi”. E allora ci siamo resi conto che c’era forse qualche difficoltà. Nella cultura Bangwa (Camerun) la terra può essere di qualcuno, ma gli alberi possono appartenere ad altri. E lì era pieno di alberi e di palme. Se non tagliavamo le palme, non potevamo costruire niente”. Questo aneddoto spiega che, il contratto, la legge, non sovrastano la relazione, anzi, la relazione è la cosa più importante e tramite quella si può risolvere tutto».
Come fare in un caso come questo?
«La pedagogia dei Focolari è sempre l’amore: allora i focolarini si sono messi a vivere insieme a questo popolo. Diceva a questo proposito ancora Lucio Dal Soglio: “Stiamo qui per vivere assieme con i Bangwa, non per fare cose grandiose, neanche per salvare le vite dei Bangwa, le salviamo se i Bangwa ce lo chiedono. Non vogliamo fare un super ospedale, non vogliamo fare un’università, non vogliamo insegnare questo o quel programma, facciamo quello che decidiamo insieme a loro di fare. Bisogna a capire insieme, ragionevolmente, quello che c’è da fare. Questa è la base dell’uguaglianza e della fraternità”. E da questo amore poi è venuto tutto».
Ti sembra che l’incontro fra i Focolari ed il popolo africano abbia fatto scaturire qualcosa di nuovo?
«La comunione, fondamentale per il carisma dei Focolari, ha portato al popolo africano una luce nuova, un dinamismo nuovo per comprendere e vivere la gran solidarietà della cultura africana. Cosi anche l’Economia di comunione, nata nel 1991 in Brasile, è stata una gran gioia per i membri del Movimento dei focolari in Africa, una risposta alla trama della nostra società: la povertà. Ma di fronte alla “piccolezza” dei paesi africani, tante sono le sfide da affrontare: l’inesistenza degli indispensabili mezzi tecnologici e finanziari e la mancanza di competenze che garantiscano lo sviluppo necessario fanno sì che la maggior parte dei paesi africani si trovi in una situazione sfavorevole, in posizione di debolezza».
A che punto è oggi Economia di comunione in Africa? Quali spunti può portare al dibattito sulla povertà e lo sviluppo?
«L’Africa fa parte integrante del progetto Edc già dall’inizio e prova nonostante le difficoltà enumerate sopra ad andare avanti. L’esperienza dell’ Edc vissuta ci fa comprendere che non si può uscire della trappola dell’indigenza col denaro, anche se è abbondante, né con la ridistribuzione delle ricchezze o la costruzione delle infrastrutture pubbliche (scuole, strade, pozzi, ecc.), né con l’incremento delle relazioni commerciali tra il Nord ed i Sud. Certamente, tutto questo è necessario, ma non è sufficiente. Il mondo vedrà fiorire la fraternità e la comunione quando saremo capaci di costruire delle relazioni umane autentiche e profonde tra persone differenti ma uguali; quando supereremo le categorie stesse di “popoli poveri” e di “popoli ricchi”; quando sapremo comprendere, anche grazie alle esperienze di vita di Economia di comunione, che non esiste persona al mondo povera al punto da non poter essere dono per l’altro: la povertà si cela anche nella ricchezza, perché l’altro è necessario alla nostra felicità, quindi essere ricchi non basta per essere felici… Una persona in difficoltà, solo quando si sente amata e stimata, trattata con dignità perché riconosciuta per il suo valore, solo allora può trovare in se stessa la volontà di uscire della trappola della precarietà e così rimettersi in cammino».
Quindi uno sviluppo che parte dalla comunione…
«Sì, è solo dopo questo primo atto di profonda libertà e dignità umana che ciascuno deve compiere che potranno arrivare gli aiuti, i fondi, i contratti, le relazioni commerciali, che sono solo strumenti che contribuiscono allo sviluppo globale della persona. La vita sociale allora, troverà dei fondamenti solidi per una fioritura duratura della persona. Ecco perché sosteniamo che L’Edc è un nuovo paradigma per lo sviluppo dell’Africa. Questi eventi di Nairobi, la conferenza internazionale alla CUEA e la Summer school alla Cittadella Piero, saranno panafricani, i primi nel continente africano, eventi che abbiamo preparato e atteso da anni, dedicati specialmente ai giovani ma aperti a tutti coloro che vogliono capire, approfondire, scambiare esperienze, portare contribuiti per uno sviluppo integrale dell’Africa. Oltre al popolo africano, saranno presenti, economisti e imprenditori da America, Europa ed Asia per poter creare insieme una comunione di scambi».