Un concorso e tanti dubbi
Fabiana è diretta a Napoli. Proverà lì il megaconcorso per gli insegnanti. A Torino da un anno, è una maestra elementare e segue un bambino con sindrome di down. Approfitta del viaggio in treno per continuare a scorrere le circa 3.500 domande del test preselettivo. Sono molti i suoi coetanei, tra i 25 e i 30 anni che proveranno la selezione.
Tra i partecipanti ci sono anche tanti ultraquarantenni, ribadisce Maria Rita, insegnante in un liceo scientifico a Palermo. «Non c’è altro modo per poter insegnare, visto che le graduatorie non scorrono e gli insegnanti sono parcheggiati lì dopo i tanti concorsi, le scuole abilitanti e i corsi che si sono sostenuti negli ultimi vent’anni». Si spera in un lavoro sicuro. Un lavoro che, nonostante le accuse di corporativismo e di nullafacenti lanciate a turno da vari rappresentanti del Governo attuale e passato, ha uno stipendio bassissimo, 1.400 euro e non corrispondente, a detta di molti, alle ore dedicate agli studenti in classe e poi a casa. Maria Rita spiega ogni giorno ai suoi studenti che «i suoi power point di storia non ricevono alcun incentivo e neppure i pomeriggi ad inventare le prove multimediali. Il nostro lavoro non si esaurisce solo nelle lezioni frontali, le vere strategie me le invento fuori dalla scuola».
Anna insegna lettere in una scuola media di Roma e non accetta che il criterio di pre-selezione per nuovi docenti sia affidato solo a test generici su informatica, inglese, logica e matematica. «Bisogna davvero attendere il concorso per manifestare le proprie competenze? Cosa contano gli anni di insegnamento, le varie specializzazioni, le abilitazioni accumulate negli anni?». Domande scomode soprattutto di fronte ad insegnanti navigati che avvertono la fatica di rimettersi sui libri o meglio davanti ad un pc per svolgere al meglio le prove.
«I precari comunque rimangono troppi, sono un esercito e sono consapevole che non possono essere assorbiti tutti – continua Maria Rita. Il precariato non è stato creato dai cittadini ma da scelte politiche dissennate che ora tutti paghiamo».
Paola che insegna latino e greco in un liceo classico romano è ben consapevole della fatica dei colleghi che si stanno preparando a questa pre-selezione. Rimane lo sconcerto sul metodo: «Troppo tecnologico e poco al passo con i tempi e con le esigenze dei ragazzi oggi. Avremo bravi laureati ma non bravi insegnanti perché oggi serve più formazione pedagogica e psicologica. I nostri ragazzi sono fragili, hanno bisogno di sostegno e non solo di formazione tecnica. Temo questo livellamento che lascia in sordina la competenza su altri fronti».
Intanto i ragazzi disdegnano la professione: lo stipendio è misero e il lavoro viene assicurato troppo tardi. Il rischio concludono i docenti intervistati è di ritrovarsi nel prossimo futuro con insegnanti poco motivati e che scelgono questa professione come ultima spiaggia. Certo non è il caso di Fabiana che ha frequentato Scienze della formazione consapevole anche dei rischi: la passione ha avuto la meglio. Speriamo che le serva anche alla prova di domani.