Un Concilio che continua

Da più di cinquant’anni segue i fatti e i problemi del mondo religioso e vaticano. È stato vicedirettore de “L’Osservatore romano” e autore di numerosi libri di successo. Una lettura di Gianfranco Svidercoschi sull’attualità del Concilio Vaticano II
Gianfranco Svidercoschi

Cosa è stato attuato del Concilio Vaticano II e quali punti sono ancora lettera morta?

«Da un lato è stata attuata una grande realizzazione delle riforme istituzionali che riguardavano la gerarchia, il papa, la Curia romana, i dicasteri, le conferenze episcopali e dall’altro, con la Sacrosanctum Concilium, la riforma liturgica, l’unico documento arrivato a tutto il popolo cristiano che ha rivoluzionato il modo di pregare anche con l’aiuto della Dei Verbum, il ritorno della Parola di Dio al centro della vita della Chiesa e della preghiera. La riforma, però, non doveva, riguardare soltanto il latino al posto delle lingue nazionali, l’uso delle Sacre Scritture, ma doveva essere un nuovo modo di vivere la fede. Non è stato realizzato dagli stessi sacerdoti che sono spesso tornati ad essere, quasi i responsabili unici del rito liturgico mentre la riforma chiedeva una presenza piena e consapevole del popolo cristiano».

E gli aspetti positivi?

«A partire dal pontificato di Giovanni Paolo II, c’è stato un grande sviluppo nei rapporti ad extra: le relazioni con le altre chiese, le altre religioni e con il mondo. Se si potesse vedere in filigrana tutto il pontificato di Giovanni Paolo II si vedrebbe come tutti e cinque i punti fondamentali della Gaudium et Spes, dove si condensano i problemi fondamentali della persona e della comunità civile (famiglia, giustizia, scienza, politica, guerra e pace), sono stati tutti portati avanti. Basti pensare al tema della pace e della guerra che al Concilio presentava ancora posizioni divise tra “evangelici” e “deterrenti”, ora si è arrivati alla condanna totale della guerra che non è più uno strumento per sanare i rapporti tra gli Stati. C’è stato anche un grande sviluppo della libertà religiosa e dei diritti umani, in passato proprietà della rivoluzione francese e dell’illuminismo, che sono tornati ad essere una bandiera della Chiesa. Inoltre i rapporti con l’ebraismo e l’Islam: per la prima volta Giovanni Paolo II è entrato in una sinagoga e in una moschea. È nato un rapporto nuovo rispetto al passato.

Eppure, uno dei documenti fondamentali, la Lumen Gentium è ancora in gran parte disatteso…

«Nessuno dei tre punti principali della Lumen Gentium è stato realizzato e cioè la la Chiesa-mistero Chiesa-popolo di Dio, e la Chiesa-collegialità. Rispetto ad una Chiesa ancora oggi troppo istituzionale ci vuole una Chiesa più spirituale. Le strutture e le gerarchie, naturalmente, servono ma non a scapito del popolo di Dio e della responsabilità dei laici. Bisogna realizzare una maggiore collegialità dando maggiore responsabilità ai vescovi delle diocesi locali perché non si è creata la sintesi tra primato pontificio e collegio dei vescovi, né è nata una decentralizzazione che garantisca il rispetto per la specificità delle Chiese locali. Manca una comunione, il rapporto tra le persone: se ci fosse stata, il problema della pedofilia sarebbe stato risolto prima. Tutto questo è ancora da realizzare».

Che riflessi ha avuto il Concilio sulle associazioni, comunità e movimenti ecclesiastici?

«Dove è stato preso sul serio il Concilio ha portato frutti positivi come sui movimenti laici. È stato un grande momento di purificazione. L’Azione cattolica aveva avuto un crollo degli iscritti ma ha ritrovato la sua vocazione religiosa. Gioventù studentesca è diventata una cosa buona come Comunione e Liberazione. I focolarini stessi, anche se erano nati prima, si sono cementati con il Concilio che ha dato una forza in più. Sant’Egidio rappresenta un mix riuscito della voglia di rinnovamento sessantottino unito alla spiritualità del Concilio. Era giusto mettersi in discussione e il Concilio va rilanciato perché il documento fondamentale la Lumen Gentium disegna un nuovo tipo di Chiesa che fa saltare molti privilegi dei chierici e c’è una parte della gerarchia che non vuole cambiare».

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