Un compito per l’Italia
“Quando si appoggiava alla scaletta e faceva fatica a salire, c’era un applauso tale che sembrava volerlo sollevare e aiutarlo a salire i gradini; lui si è fermato a metà e si è voltato a salutare. L’aula è grande, ma c’era una sintonia, una vicinanza che lui ha sentito”. Così la senatrice Patrizia Toja descrive l’incontro tra Giovanni Paolo II e i parlamentari italiani: qualcosa che è andato al di là dell’occasione ufficiale e degli stessi contenuti del discorso. Il papa ha acceso un’idea dell’Italia che ognuno di loro, rappresentante della nazione, aveva dentro. E lo ha fatto sottolineando che l’Italia ha una identità che affonda le radici in una tradizione cristiana, dalla quale il paese continua a ricevere un compito: “Tentando di gettare uno sguardo sintetico sulla storia dei secoli trascorsi, potremmo dire che l’identità sociale e culturale dell’Italia e la missione di civiltà che essa ha adempiuto ed adempie in Europa e nel mondo ben difficilmente si potrebbero comprendere al di fuori di quella linfa vitale che è costituita dal cristianesimo. Mi sia pertanto consentito di invitare rispettosamente voi, eletti rappresentanti di questa nazione, e con voi tutto il popolo italiano, a nutrire una convinta e meditata fiducia nel patrimonio di virtù e di valori trasmesso dagli avi”. Dunque non una tradizione che ci trattiene nel passato, ma qualcosa che, se vi si rimane fedeli, ci proietta nel futuro. Una tradizione che non si limita al cristianesimo: “Alla luce della straordinaria esperienza giuridica maturata nel corso dei secoli a partire dalla Roma pagana, come non sentire l’impegno, ad esempio, di continuare ad offrire al mondo il fondamentale messaggio secondo cui, al centro di ogni giusto ordine civile, deve esservi il rispetto per l’uomo, per la sua dignità e per i suoi inalienabili diritti?”. E cita “l’antico adagio ” secondo il quale è l’uomo l’agente dell’ordine giuridico. “È implicita, in tale affermazione, la convinzione che esista una “verita” sull’uomo, che si impone al di là delle barriere di lingue e culture diverse”. È su questa verità che si appoggiano i diritti umani; ed è sempre essa che “rende possibile il dialogo tra gli uomini e tra i popoli”. Esiste dunque una unità profonda dell’umanità, che, se si manifesta attraverso la ricca varietà delle culture, obbedisce però ad una “logica morale” unitaria: il mondo, allora, non è “irrazionale o privo di senso”, ma ha in sé stesso la tendenza a far emergere sempre più chiaramente la verità che lega tutti gli uomini: il papa chiama i politici a dare questo significato alto alla loro azione. Non stupisce che il papa – che ha fatto propria la spiritualità di comunione, e che nella Novo millennio ineunte l’ha proposta come spiritualità di tutta la chiesa – radichi su questa visione di comunione dell’intera umanità la sua proposta ai politici, il compito dei quali è proprio quello di comporre continuamente le divisioni e i conflitti per riaffermare giorno per giorno, realizzando il bene comune, l’unità della comunità politica. Solidarietà e coesione per l’Italia Tutto il discorso di Giovanni Paolo II ruota intorno a questo perno. E lo fa con metodo, partendo dall’esigenza di costruire l’unità interna della nazione, per poi rivolgersi al mondo. Ecco allora che, riferendosi alla molteplicità delle realtà culturali, sociali ed economiche italiane, egli sottolinea che l’Italia ” è assai complessa e sarebbe impoverita e mortificata da forzate uniformità”; ma per il papa le differenze da mantenere e valorizzare sono quelle che esprimono la ricchezza del popolo, non la sua povertà o l’ingiustizia. Per questo il paese, egli spiega, ha “bisogno di incrementare la sua solidarietà e coesione interna”. E proprio i politici possono dare “un esempio particolarmente importante ed efficace”, ricordandosi che è più forte ciò che unisce rispetto a ciò che divide: “Le sfide che stanno davanti ad uno Stato democratico esigono da tutti gli uomini e le donne di buona volontà, indipendentemente dall’opzione politica di ciascuno, una cooperazione solidale e generosa all’edificazione del bene comune della nazione. Tale cooperazione, peraltro, non può prescindere dal riferimento ai fondamentali valori etici inscritti nella natura stessa dell’essere umano”. Già in apertura del discorso, il papa aveva affermato che esiste una verità che i parlamentari sono invitati a custodire e ad attualizzare: nessuna maggioranza può tradirla a colpi di voti. E questo principio è proposto ai parlamentari fondandolo non sulla fede, ma sulla tradizione giuridica: “Al riguardo, nella Lettera enciclica Veritatis splendor mettevo in guardia dal “rischio dell’alleanza fra democrazia e relativismo etico, che toglie alla convivenza civile ogni sicuro punto di riferimento morale e la priva, più radicalmente, del riconoscimento della verità” (n. 101). Infatti, se non esiste nessuna verità ultima che guidi e orienti l’azione politica, annotavo in un’altra Lettera enciclica, la Centesimus annus, “le idee e le convinzioni possono essere facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia” (n. 46)”. La citazione di questo passo della Centesimus annus in questo contesto è di grande importanza; l’enciclica fu infatti scritta dopo il crollo dei regimi socialisti dell’Est europeo, e su tale esperienza basava gran parte della sua riflessione. Ma non si sottolinea mai abbastanza che le sue affermazioni valgono per ogni regime politico, comprese le democrazie liberali dell’occidente: proprio queste, e proprio a causa di un eccesso di individualismo, corrono il rischio di instaurare nuove forme di totalitarismo che il papa definisce “subdolo”, in quanto non si esprime in una dittatura esplicita del potere politico, ma in quella strisciante del potere economico, in quella mimetica del conformismo culturale che riesce ad imporre stili di vita tanto più opprimenti, quanto meno sono avvertiti come tali. Dall’Italia al mondo In controtendenza rispetto a questi fenomeni negativi, la chiesa offre il suo impegno nei diversi settori. In quello della famiglia, favorendo l’accoglienza della vita e “un’esistenza aperta alla logica del dono di sé”; in quello della scuola e della cultura, continuando la missione educativa che le è propria; nell’impegno capillare di solidarietà verso le categorie più deboli, quali i disoccupati, gli emarginati, gli immigrati. Ma su tutti questi fronti Giovanni Paolo II ricorda anche che le forze sociali e la chiesa non possono fare da sole: esiste un dovere di intervento politico, un compito delle istituzioni che non può essere ignorato e che deve coordinarsi con le forze e le esigenze di tutti i soggetti sociali. È una politica intesa come servizio vero al bene comune, quella che il papa delinea davanti ai parlamentari italiani; e che trova spontaneamente il suo culmine nella proposta di un “segno di clemenza” verso i carcerati “mediante una riduzione della pena “; un atto, spiega il papa, richiesto dalle condizioni delle carceri; ma così facendo il pontefice indica anche una precisa concezione dello stato: uno stato capace di perdono. E il perdono, viene spontaneo osservare, è una possibilità giuridica, prevista fin dall’antichità e praticata anche ai nostri giorni, che dovrebbe trovare un suo spazio originale in un paese dalla tradizione cristiana: senza venir meno alla giustizia, il perdono, da parte dello stato, è manifestazione non di debolezza, ma di forza, di consapevolezza della propria natura di istituzione al servizio, fondata sulla fraternità esistente fra tutti i cittadini. L’Italia: una nazione unita, capace di solidarietà e di misericordia al proprio interno. Questo è il paese che può contribuire a dare all’Europa la sua vera identità: “Coltivo la fiducia che, anche per merito dell’Italia, alle nuove fondamenta della “casa comune europea” non manchi il “cemento” di quella straordinaria eredità religiosa, culturale e civile che ha reso grande l’Europa nei secoli. È quindi necessario stare in guardia da una visione del continente che ne consideri soltanto gli aspetti economici e politici o che indulga in modo acritico a modelli di vita ispirati ad un consumismo indifferente ai valori dello spirito. Se si vuole dare durevole stabilità alla nuova unità europea, è necessario impegnarsi perché essa poggi su quei fondamenti etici che ne furono un tempo alla base, facendo al tempo stesso spazio alla ricchezza e alla diversità delle culture e delle tradizioni che caratterizzano le singole nazioni”. Questa, secondo il papa, è l’Europa che può rivolgersi al mondo mettendo in atto una efficace azione in favore della giustizia e della pace, sapendo di poter contare sull’azione delle religioni, “stimolate a far emergere tutto il loro potenziale di pace, orientando e quasi “convertendo” verso la reciproca comprensione le culture e le civiltà che da esse traggono ispirazione”. Nel contesto delle grandi religioni, il cristianesimo “ha un’attitudine e una responsabilità del tutto peculiari: annunciando il Dio dell’amore, esso si propone come la religione del reciproco rispetto, del perdono e della riconciliazione”. È una grande impresa, sottolinea il papa, dal cui esito dipenderanno, nei prossimi decenni, le sorti di tutta l’umanità. Ed è questa la “grande impresa ” che Giovanni paolo II propone ai parlamentari: ” L’Italia e le altre nazioni che hanno la loro matrice storica nella fede cristiana sono quasi intrinsecamente preparate ad aprire all’umanità nuovi cammini di pace, non ignorando la pericolosità delle minacce attuali, ma nemmeno lasciandosi imprigionare da una logica di scontro che sarebbe senza soluzioni”. In conclusione, Giovanni Paolo II ha saputo proporre una visione dell’Italia ancorata alla propria tradizione, dalla quale trae identità e compiti per il futuro. Ha tracciato un quadro degli impegni politici nei diversi settori della vita pubblica, basandoli sulle esigenze stesse della politica democratica, e illuminando quest’ultima con la prospettiva di una comunione della nazione verso una comunione dell’Europa e del mondo. Una lezione di spiritualità, certamente, ma anche un richiamo alla politica vera, e vera perché intrisa di valori alti, di spiritualità. UN MOMENTO ALTO DI SPIRITUALITÀ E POLITICA Le impressioni a caldo di alcuni parlamentari aderenti al Movimento politico per l’unità. On. Giuseppe Gambale (Margherita) “Anzitutto sottolineerei il suo richiamo alla solidarietà dentro il paese e dentro le istituzioni; così facendo ha dato anche l’idea di una politica che solo vivendo in questo modo può contribuire al bene comune e riacquistare la sua dignità. “Altro passaggio importante è stata la dichiarazione che importa ciò che si è, e non ciò che si ha, mettendo così al centro dell’interesse politico la persona e la sua formazione. Ma tutto il discorso era intriso di una grande stima e un grande rispetto per il nostro paese, per i passi che ha compiuto dal dopoguerra ad oggi e per il ruolo che può avere nell’Europa e nel mondo. “Importante anche la sottolineatura dell’identità cristiana dell’Europa, ma allo stesso tempo il riconoscimento della presenza di culture e religioni diverse, e la convinzione che esse sono una ricchezza. Mi sembra che il parlamento – al di là di qualche piccolo dissenso marginale – si sia ritrovato nella sua interezza e unità, e che abbia vissuto un momento alto di politica”. On. Maria Burani Procaccini (Forza Italia, presidente della commissione bicamerale per l’infanzia) “Mi ha colpito particolarmente la critica al relativismo etico, che poco prima era stato condannato anche dal un “iper-laico” come il presidente del Senato Marcello Pera; questa convergenza è di una importanza capitale, perché è proprio su questo aspetto che, sovente, ci si scontra in parlamento. Non esistono cento diverse morali, ma una sola, e lo si comprende se si riesce a guardare alle vere esigenze della persona, ai suoi diritti e doveri, come constato quotidianamente nei lavori che riguardano l’infanzia”. Sen. Patrizia Toja (Margherita) “Ha richiamato tutti noi ad alcuni valori fondamentali, in particolare a quelli che stanno a fondamento dell’Europa, che noi cristiani vediamo nella fede,ma che sono comunque punti di riferimento per tutti coloro che sono impegnati in politica, perché valori propri dell’uomo. Ha parlato sia alla coscienza dei cristiani che a quella degli altri, senza alcuna ingerenza nella nostra attività di legislatori, ma, anzi con grandissimo rispetto per la nostra autonomia. “Ha sottolineato che vuole più coesione e solidarietà proprio fra di noi. Non voglio svilire queste parole così alte collegandole ai fatti contingenti, ma le sue parole devono essere vere anche per noi, perché le trasformiamo in vita vissuta e quotidiana; ci ha richiamato alla coesione nel momento in cui la società e la politica sono divise, e questo ha avuto un grande impatto interiore, non solo per me, ma anche per moltissimi colleghi coi quali ho avuto modo di parlare nei giorni seguenti. Mi rendo conto che, adesso, parlo con loro in modo diverso. Se questo atteggiamento rimane dentro di noi, ha un valore di grande portata, perché nel nostro paese, oggi, la cosa più grave è questa contrapposizione che va al di là dei diversi contenuti delle proposte. Io sono per le distinzioni chiare; ma oggi viviamo una condizione per cui anche chi non vuole diventa aggressivo, e chi lo è lo diventa ancora di più. È una brutta deriva. Il richiamo del papa ha toccato tutti ed è stato un fatto grandissimo”. On. Massimo Grillo (Udc) “Mi ha colpito fortemente il fatto stesso di vedere il papa presiedere un’assemblea di parlamentari; un fatto che, da solo, avvicina alla spiritualità la politica e la innalza. Il messaggio del papa incoraggia l’azione che stiamo facendo – come Movimento politico per l’unità – di non alimentare lo scontro, ma di ricercare il dialogo e la cooperazione fra i parlamentari. Sono rimasto impressionato dai commenti di molti colleghi, anche lontani dalle posizioni della chiesa, che sono rimasti colpiti dalla dimensione spirituale della visione politica che egli ha presentato”. Sen. Emanuela Baio Dossi (Margherita) “Il papa ci ha chiamato più volte, personalmente, a impegnarci per la costruzione del bene comune fondato sulla cooperazione e sulla solidarietà. E su questo valore fondamentale per l’Italia, dovremmo impegnarci a costruire la nuova Europa. È un processo che dobbiamo vivere adesso; e spero che questo patrimonio di valori entri nella Costituzione europea: anche da questo si capirà l’ispirazione cristiana dell’Europa. Sen. Ivo Tarolli (UDC) “A mio avviso il papa è riuscito a dire tutte le cose che il suo magistero gli suggeriva, e anche ad entrare in tematiche specifiche, con uno spirito istituzionale esemplare. In particolare, parlando della famiglia e dell’educazione, del calo demografico, ha messo a disposizione del processo politico il patrimonio bagaglio di conoscenze ed esperienze della chiesa. “Il punto centrale, a mio avviso, di questo discorso, riguarda l’idea che il popolo italiano si alimenta, anche culturalmente, del cristianesimo, e da questo riferimento non si può prescindere per lo sviluppo futuro. Ma quello che mi ha colpito in modo più vivo a livello personale, è il suo richiamo alla cooperazione dentro le istituzioni per il bene comune; intendeva anche cooperazione tra maggioranza e opposizione. E per me vuol dire, concretamente, che di fronte alle grandi questioni bisogna trovare le intese”.