Un cinese a Tagaytay
Per la verità il suo nome di nascita è Lo Kin Sang: Stephen, invece, è quello di battesimo ricevuto a 12 anni, lui, il primo della sua famiglia ad aver abbracciato il cristianesimo. Stephen è nato a Kaiping 59 anni or sono: allora un piccolo centro della provincia di Guang Dong, nella Cina sud-orientale, ora invece una città di un milione di abitanti: a tal punto si è sviluppata come nodo commerciale e di scambio, grazie alla sua posizione privilegiata alla confluenza di tre fiumi. Dopo qualche anno di lontananza, ci rincontriamo nella Città Eterna: l’occasione, un corso intensivo sulle religioni tradizionali in Asia e Oceania, che il mio amico è stato invitato a svolgere presso la facoltà di missiologia dell’Università Urbaniana. Fra l’altro ne approfitto anche per sapere qualcosa di più sullo sciamanesimo: un fenomeno religioso – tale almeno è stato riconosciuto di recente – comune a varie culture, e su cui Stephen appare particolarmente ferrato. Ma anche è l’occasione per ripercorrere una storia, la sua, che da Hong Kong, dove ha trascorso la sua giovinezza, l’ha portato nell’attuale sede: la cittadella di Tagaytay, nelle Filippine. “Nel 1968 avevo 25 anni – inizia a raccontare – quando attraverso una comune amica ho avuto modo di conoscere, di passaggio a Hong Kong, Marilen Holzhauser, che allora si trovava nelle Filippine. “A quel tempo non avevo approfondito molto la fede cristiana, ciò che comportava l’incarnazione di Cristo: credevo fosse sufficiente appartenere a qualche associazione cattolica e dedicarmi a qualche opera di misericordia”. Per Stephen, quell’incontro così semplice e familiare con una delle prime compagne di Chiara Lubich rappresenta il primo sconvolgente impatto con una vita improntata a radicalità evangelica. “Negli ideali dei Focolari ho scorto inoltre la possibilità di attuare un desiderio che accarezzavo già da diversi anni: contribuire a far conoscere il cristianesimo ai miei connazionali di fede confuciana, buddhista o taoista”. È il dicembre dell’81. Dopo un intenso decennio speso, primo focolarino cinese, a costruire a Hong Kong assieme ad altri le comunità dei Focolari, Stephen ha la gioia di accompagnare Chiara in alcune tappe del suo primo viaggio in Asia. Non è un caso se a Tagaytay, nel gennaio 1982, lei individua il luogo ideale per ospitare una scuola che prepari i membri del movimento al dialogo con le grandi religioni orientali: ha ben presente infatti l’auspicio di papa Giovanni Paolo II che le Filippine, dove la popolazione è prevalentemente cristiana, diventino una sorgente spirituale a cui attingere per testimoniare Cristo in quel continente. La scuola, in effetti, prenderà il via nel febbraio dell’83. Ne è presidente mons. Da Costa, ora vescovo emerito di Macao. Tra i professori, altri vescovi amici dei Focolari: “Una garanzia dell’ortodossia di questa iniziativa “, osserva l’amico. Fin dall’inizio Stephen è stato incaricato di organizzare i corsi insieme ad una focolarina filippina, Kres Gabijan, ed anche di tenere delle lezioni. Non per nulla, ad una laurea in scienze naturali e ad una specializ- zazione in pedagogia ha aggiunto un’altra laurea, in religioni orientali, conseguita a Manila in quella stessa università di Santo Tomàs dove nel 1997 Chiara riceverà la laurea honoris causa in teologia. E qui un ricordo della persona dalla quale riconosce di aver appreso l’amore allo studio. “Come lavoro, papà faceva il contabile, ma non era il suo campo: la sua vera passione era la lettura. Trascorreva i suoi momenti liberi a leggere gli scritti di Confucio, di Lao Tze, e – ancor prima di essere battezzato – lo stesso Vangelo e le lettere di san Paolo. Tutto un insieme di insegnamenti morali che testimoniava con la vita, più che con le parole”. Da 19 anni, dunque, il mio amico vive in mezzo ad un popolo esso pure, ma con categorie mentali, usanze, credenze diversissime da quello cinese. Non deve esser stato facile neppure per uno come lui immedesimarsi in esso, penetrarne la cultura. “È vero – conferma sorridendo -. Fra l’altro noi cinesi abbiamo una storia molto più antica, mentre quella scritta delle Filippine è iniziata solo 500 anni fa, con l’arrivo degli spagnoli. Quando mi sono accorto che questo dato di fatto poteva costituire per me una tentazione di superiorità, e dunque un ostacolo al rapporto, ho dovuto operare una vera conversione: mettere da parte la mia identità, la mia cultura, per poter entrare veramente nella pelle dei filippini. “Sì, posso dirlo sinceramente: son contento di vivere con questi che ormai considero fratelli. Certi loro valori tipici come il senso della famiglia e dell’ospitalità mi hanno veramente arricchito”. Torniamo a parlare della scuola. “Finora – spiega Stephen – abbiamo tenuto più di ottanta corsi su buddhismo, taoismo, islam, sciamanesimo e confucianesimo. Vengono approfonditi gli aspetti fondamentali dottrinali di ogni religione, mettendo in rilievo le affinità o le diversità col cristianesimo. Un altro elemento importante è lo scambio di esperienze fra credenti di religione diversa. “Ogni corso richiede tre-quattro anni: il tempo necessario per ripetere le lezioni – riprese in video, tradotte e corredate di domande e risposte – non solo in altri posti delle Filippine, ma anche in Corea, Giappone, Cina e Thailandia”. L’iniziativa, alquanto innovativa, non mi sembra abbia riscontro altrove: in particolare perché si caratterizza per il “dialogo della vita” e per il livello popolare, non accademico, delle lezioni: una qualità che le rende accessibili anche a chi, giovane o anziano, non possiede un grande bagaglio culturale. E per lui, Stephen, cosarappresenta una esperienza del genere? “Io stesso, dal carisma dell’unità applicato al sapere sono stato aiutato a scoprire, pur fra le ombre che non mancano, tante ricchezze spirituali al di fuori del cristianesimo; nello stesso tempo però mi è risultato ancora più evidente come i più sublimi princìpi etici presenti presso altre culture si ritrovano valorizzati nell’insegnamento di Gesù. Davvero, come dice san Paolo, in Cristo tutto si ricapitola. “D’altra parte quegli stessi princìpi cui accennavo possono, non di rado, risultare un salutare scossone per certe società di antica tradizione cristiana, quasi immerse in una sorta di torpore. Non basta, a parer mio, essere convinti che tutta la verità si trova già in Gesù: c’è bisogno anche delle luci altrui per risvegliarsi a questa consapevolezza”.