Un Caravaggio ritrovato

Davanti alla Cattura di Cristo della National Gallery di Dublino, ricordando la mostra romana
Caravaggio - Cattura di Cristo

Inaugurata nel 1864 nel cuore di Dublino, a poca distanza dal celebre complesso del Trinity College, la National Gallery of Ireland, che nel tempo ha visto l’aggiunta di nuove ale, possiede una ricca collezione di pitture di scuola irlandese, americana, inglese, fiamminga, francese, olandese, tedesca e spagnola, oltre che italiana. Tra i nostri autori, Caravaggio. E proprio grazie a Michelangelo Merisi, nel 1993, la Galleria divenne centro dell’attenzione internazionale per aver ricevuto in prestito a tempo indeterminato la sua Cattura di Cristo.

Fino al 1990 questo dipinto del 1602, a lungo creduto disperso o distrutto (era stato commissionato all’artista dai fratelli Mattei, famosi collezionisti d’arte della scena romana), era conosciuto solo attraverso copie: rintracciato fortunosamente nella biblioteca dei padri gesuiti di Dublino dall’allora direttore della National Gallery, Sergio Benedetti, dopo un accurato restauro era stato riconosciuto come l’originale perduto.

Come sia arrivata in terra irlandese questa grande tela di 133 cm per 169 rimane ancora un mistero. Esaminiamola da vicino. Essa raffigura con straordinaria intensità l’istante in cui Gesù viene tradito da un Giuda rancoroso, che col suo bacio lo consegna alla cieca violenza dei soldati mandati dal Sinedrio: quasi vortice maligno che avvolge la mite e dolente figura del Redentore, immobile in mezzo al tumulto, a indicare la sua adesione alla volontà di Dio, e al tempo stesso isolato assieme al suo traditore da un luttuoso mantello rosso, come in un cerchio senza scampo.

Simbolo della apparente vittoria delle tenebre, l’oscurità del Getsemani viene squarciata da una luce misteriosa, soprannaturale, che disegna i personaggi nei vari atteggiamenti, traendo freddi bagliori dal metallo delle corazze e degli elmi. L’altra fonte luminosa è la lanterna che un giovane da sinistra (lo stesso Caravaggio?) alza davanti a sé per vedere ciò che sta accadendo. Gli fa da contrappunto, all’opposta estremità, un altro giovane (l’apostolo Giovanni?), che gridando («L’hanno preso!», sembra di udire), fugge – e di fatto sta uscendo dal quadro – per non assistere al dramma in atto.

Mirabile è il gioco delle mani, che esprimono i vari stati d’animo: arrendevolezza in quelle intrecciate di Cristo, brutalità nel soldato che lo ghermisce, dolore disperato nel giovane in fuga, anelito di conoscenza e compassione nell’altro che regge la lanterna.

Fu in occasione della mostra romana “Caravaggio e la Collezione Mattei”, inaugurata il 5 aprile 1995 presso la Galleria Nazionale d’Arte antica di Palazzo Barberini, che ebbi modo di contemplare per la prima volta questo dipinto, esposto nel salone dall’immensa volta grondante allegorie, dipinta da Pietro da Cortona.

Volli ritornarci con l’amico Alessandro senza anticipargli cosa andavamo a vedere, se non prospettandogli una visione meravigliosa. Per evitargli quella delle altre opere esposte nella Galleria e sperimentare d’un colpo l’impatto col capolavoro, lo convinsi a chiudere gli occhi e a riaprirli solo quando glielo avrei detto io. Così lo guidai come un cieco fino al Caravaggio dublinese, in mezzo agli altri visitatori (la mostra ne avrebbe contati mezzo milione).

L’effetto fu superiore al previsto. Quando Alessandro aprì gli occhi, per ammirare il dipinto fu costretto a destreggiarsi fra la ressa, come il giovane della lanterna che voleva vedere Cristo, entrando a far parte così della scena del quadro, in continuità con i personaggi dipinti. Nel silenzio estatico, s’era formato come un vortice in movimento, per cercare la visuale migliore; e in esso il bellissimo immobile Cristo era il centro degli sguardi: quasi “occhio” di calma di un ciclone. Caravaggio era riuscito a rendere a noi contemporaneo l’istante in cui avvenne la cattura del Redentore.

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