Un caporale invulnerabile

Nel racconto storico di Mario Dal Bello, La congiura di Hitler (Città Nuova, 2014), il ritratto di un giovane, ambizioso pittore austriaco. Il futuro dittatore nazista
La congiura di Hitler di Mario Dal Bello (Città Nuova

C’è un pittore di venticinque anni smilzo, con due occhi azzurri spiritati e un ciuffo spiovente sulla fronte, nel sedicesimo reggimento di fanteria della riserva del Regno di Baviera, sul fronte occidentale, nelle Fiandre.

Dall’agosto di quell’anno, il 1914, Francia e Inghilterra sono entrate in guerra contro gli Imperi centrali, Germania e Austria.

Si combatte aspramente. Il reggimento è formato da giovani intellettuali e artisti, volontari entusiasti della guerra.

Il pittore è austriaco, è stato riformato alla visita per il servizio militare, ma si è arruolato volontario in Baviera. Si chiama Adolf Hitler.

È arrivato dall’Austria a Monaco, dopo un’infanzia triste e una giovinezza sprecata a vagabondare a Vienna, cercando – inutilmente – di farsi ammettere all’Accademia di Belle Arti.

Ha la testa piena di idee: i miti germanici antichi, la musica di Wagner, l’antisemitismo, l’odio anticomunista.

È un giovane particolare: chiuso spesso in un mutismo cupo, improvvisamente scatta in lunghissimi discorsi contro la società da “rivoluzionare”. Sta cercando una direzione nella vita: fare l’artista, l’oratore politico, o chissà cos’altro.

Ma di una cosa è certo: non vuole restare nell’anonimato. È convinto che ci riuscirà.

Nella vasta pianura delle Fiandre l’esercito bombarda città e paesi. Adolf intona con quei ragazzi appena diciassettenni, facilmente impressionabili, il canto Deutschland, Deutschland, über alles, über alles in der Welt: «Germania, Germania sopra tutto, sopra tutto nel mondo!».

«La gente ama la guerra – dice ai camerati, durante i momenti di pausa in trincea – e io sono un nemico della pace.

Dobbiamo sterminare i marxisti, una banda di imbroglioni e avvelenatori del popolo, e gli ebrei, che meritano di venire eliminati con i gas asfissianti».

(…)

Ma dopo due anni di guerra, ormai promosso caporale, la sua vita subisce un brusco arresto. Il mito della sua invulnerabilità si infrange.

Adolf sta combattendo con i commilitoni sulla Somme. Mischia, fumo, polvere, urla di feriti, schianto di morti, pallottole fischianti, rombi di cannonate. Una scheggia di granata inglese lo raggiunge alla coscia sinistra.

Il suo destino ha forse cambiato direzione? Adolf viene soccorso, portato nell’infermeria.

«Non voglio stare qui – dice –. Fatemi tornare in Germania». Lo accontentano. Il viaggio di ritorno è interminabile, segnato dalle prolungate soste nelle retrovie. La guerra sta distruggendo tutto.

Alla fine, viene ricoverato nell’ospedale militare di Beelitz, non lontano da Berlino.

Non conosce la città. Dalle finestre dell’ospedale la osserva: è triste, la gente è ormai sfiduciata per l’impossibilità di vincere una guerra che dura da troppo tempo. I partiti – lo legge sui giornali – sono in lotta fra loro e la crisi economica è enorme.

Adolf rimugina fra sé: «Tutte le leve del potere, specialmente quello economico, sono in mano agli ebrei. Sono come un ragno che succhia il sangue del popolo». Bisogna agire, ne è convinto. Ma come?

Qualche mese dopo, nel 1917, ritorna a Monaco.

(…)

Alloggia, come reduce, nella caserma della Türkenstrasse: ha pasti assicurati e un posto letto. Comincia a frequentare il teatro – le opere di Wagner – e una maleodorante birreria popolare, la Sterneckerbräu. Qui, tra il fumo e l’alcol, si tegono le riunioni di un gruppuscolo, il Dap (Deutsche Arbeiterpartei, «Partito dei lavoratori tedeschi»).

Hitler segue gli incontri. Agisce come agente segreto dell’esercito per controllare questo strano gruppo, ma si guarda bene dal farsi scoprire. «Vogliamo lavare l’onta di Versailles – gridano i più spavaldi –, far emergere la pura razza germanica, scacciare i comunisti e gli ebrei!».

Adolf si fa conoscere. Il programma gli piace. Ogni tanto interviene nei dibattiti: ha un’irruenza oratoria che sbaraglia chi non la pensa come lui. Non ci vuole molto, e il Dap gli affida la propaganda del piccolo partito. Hitler accetta: gli servirà da pedana di lancio per la sua ascesa sociale.

Da La congiura di Hitler di Mario Dal Bello (Città Nuova, 2014)

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