Sisma, serve prevenzione

Lo Stato c'è. I soldi ci sono. Anche la strategia per rigenerare Alpi ed Appennini è scritta. Si può pensare che siano tre ingredienti sufficienti per invertire involutivi percorsi di ricostruzione post-sisma e post-altre-calamità del passato?

Prima cosa, superare l’emergenza. Persone, dispersi, energia elettrica, strade. E ovviamente partire in fretta con la ricostruzione. Scuole, case, chiese. L’Appennino martoriato in questi giorni da sisma e nevicate deve poter uscire al più presto dal dramma e dalla conta della distruzione. Ricostruire è ricominciare a sperare. Il Paese non può prescindere dalla capacità delle istituzioni, a tutti i livelli, di coinvolgere le comunità, chi vive e lavora lì tra Marche, Abruzzo, Umbria, Lazio, di guardare con serenità al futuro. Servono unità, coesione e meno polemiche.

Ma tutto questo, forse non basta. Le prime cose da fare sono chiare a tutti e il presidente del consiglio Gentiloni lo ha ripetuto più volte da Rieti, invitando al profilo basso e al grande lavoro, ringraziando volontari e sindaci. Certo la burocrazia non deve rallentare spese, investimenti, strategie. La prima cosa, questa. Poi ce n’è un’altra, non meno complessa e lunga. Che era emersa senza troppa forza all’indomani del primo sisma del 24 agosto. Lo possiamo dire con le parole di Franco Arminio, paesologo, uomo del Sud che ha lavorato una vita per riempire il vuoto dell’abbandono, spronando istituzioni e persone. Lo sintetizza così il concetto chiave, a conclusione di un breve testo che Arminio ha titolato “Preghiera per l’Appennino”: «Ci vuole un cantiere per l’Appennino, bisogna dire a tutti i giovani che ci sono che avranno lì lavoro per almeno dieci anni, perché l’Italia e il mondo devono salvare l’Appennino, perché è una terra sacra, è una terra che ha un patrimonio naturalistico e culturale unico al mondo».

Poche parole per guardare oltre l’emergenza. Lo Stato, secondo Arminio, nei luoghi colpiti dal sisma, c’è e ce n’è forse troppo. «Quello che manca è proprio una sorta di rispetto antropologico per chi è rimasto sull’Appennino. I servizi di cittadinanza sono stati tagliati – afferma il paesologo – senza grandi opposizioni, né al centro, né in periferia. Hanno chiuso l’ospedale del mio paese e poi scopri che a Nola stendono i malati per terra. Sono anni che cerco di costruire un movimento per l’Appennino, abbiamo aperto la casa della paesologia, ma per avere 24 euro per l’iscrizione sembra che devi chiedere l’elemosina». Passerà la neve, passeranno le scosse e tutto tornerà come prima, provoca Franco. «Il Governo deve cambiare completamente passo. E ci vogliono segnali clamorosi, anche di tipo mediatico».

Così Arminio riprende un percorso già trattato anche su questo sito tra agosto e settembre. E cioè la necessità di una strategia. Che, fortunatamente, lo Stato ha. Si chiama Strategia nazionale per le aree interne. Rigenerare territori delle Alpi e degli Appennini ricostruendo servizi (scuole, trasporti, sanità), non in senso fisico, ma ripensandoli con nuovi e moderni presidi. E allo stesso tempo lavorare per lo sviluppo socio-economico del territorio, permettendo la nascita di nuove imprese manifatturiere, artigianali, turistiche, ma anche legate a telecomunicazioni e innovazione tecnologica. Ci sono già 190 milioni di euro per 65 aree pilota sperimentali, a cui si sommano circa 200 milioni di fondi europei individuati dalle Regioni. I percorsi stanno partendo. Li aveva avviati cinque anni fa l’ex ministro per la Coesione territoriale Fabrizio Barca. Non è stato facile. Ma nel primo Decreto terremoto di settembre si afferma che la ricostruzione deve avvenire secondo i criteri dati dalla Strategia aree interne. «Si sono raccolti tanti soldi – riflette Arminio – ma poi si dimentica che il governo e le regioni hanno un progetto che si chiama Strategia nazionale delle Aree interne: bisogna dare un impulso immediato a questa strategia di cui non sa niente nessuno». E ancora: «Bisogna coinvolgere le popolazioni dell’Appennino su cosa fare per restare in quei luoghi. Non ci vuole chi gli va a montare le catene, possono farlo benissimo da soli. Ci vuole che l’Italia si ricordi che è un Paese di paesi e di montagne. Dove d’inverno può arrivare tanta neve e dove la terra può tremare ogni giorno. In ultimo bisogna ricordare che le valanghe sono molto più veloci delle nostre manfrine burocratiche, fanno in una notte quello che non riusciamo a fare in tanti anni».

Questa è la base per un “Cantiere Appennino”. Per le Alpi è la stessa identica cosa. Lo Stato c’è ribadisce il paesologo. I soldi ci sono. Anche la strategia è scritta. Si può pensare che siano tre ingredienti sufficienti per invertire involutivi percorsi di ricostruzione post-sisma e post-altre-calamità del passato?

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