Un Candide tutto da ridere e riflettere
Dal 18 gennaio, per la prima volta a Roma, l' "operetta" di Leonard Bernstein che debuttò nel 1956 a Boston
Cosa accomuna Voltaire e il suo Candide, romanzo dissacratorio di ogni forma d’autorità in un nichilismo del “buon senso”, nelle avventure dell’ingenuo Candide fra i marosi della vita, e l’”operetta” – così l’ha definita – di Leonard Bernstein? Il compositore la scrisse nel 1956, in piena “caccia alle streghe” comuniste nell’America maccartista – ne fu in parte coinvolto – e questo basta a spiegare il motivo per cui Bernstein abbia sentito una affinità particolare col filosofo francese illuminista.
Illuminista, Bernstein non era. Spirito eclettico, musicalmente e culturalmente, dottissimo, onnivoro della vita, Leonard nell’operetta in due atti – di cui esistono diverse versioni – racconta dunque la vita del giovane e non nobile Candide, innamorato di Cunegonde che si trova a vivere tra le giungle, le Americhe e Parigi per finire a Venezia e dintorni, chiudendo con i versi: “Non siamo puri, né saggi, né buoni/Faremo del nostro meglio/ costruiremo la nostra casa, taglieremo il nostro bosco/ e coltiveremo il nostro giardino”. Insomma, un “buen retiro” di una coppia disillusa, navigata, e che si rassegna all’aurea mediocrità.
Ma prima, Voltaire-Bernstein ce ne ha per tutti: esercito e chiesa, nobili e naviganti, mescolando sacro e profano con disinvoltura ed un cinismo di fondo che però la musica fa dimenticare: briosa, allegra, scoppiettante. Bernstein, maestro di cesello, affabulatore di generi, cita le forme del passato – recitativo, arie rossiniane, belcanto, jazz e commedia – con un dose di sorprendente fantasia e di umorismo cordiale. La sua è una musica vitalistica, come l’azione sul palco.
Nell’edizione al romano Teatro dell’Opera, i dialoghi parlati sono stati sostituiti dal narratore – Adriana Asti nel ruolo di Voltaire – mente la musica è stata eseguita integralmente. Cantanti-attori eccitati nel ruolo, divertiti e divertenti insieme al coro, vestiti dai costumi rutilanti e “contaminati” con le varie mode di Giusi Gistino; mentre si proiettavano scene dalle pitture di Larry Livers, a formare uno spettacolo multimediale, pieno di ritmo, di ammiccamenti, anche irriverenti, sapidi e talora non di gusto eccelso, così che il cinismo del messaggio e la voglia assoluta di libertà – tipica di Bernstein – si sfogavano nel virtuosismo scenico.
Dirigeva uno specialista come Wayne Marshall, con senso ritmico anglosassone, lasciando ai cantanti – tutti molto bravi – libertà vigilata e alla regia di Lorenzo Mariani di scatenare il film di Candide, come un action movie, dove però, per fortuna, c’è tempo per cantare ed ascoltare una musica piacevole e sincera. Perché sincero, anche in questa condanna di ogni fanatismo, Bernstein lo è sempre stato. Pubblico soddisfatto e sala piena.