Un campione vero
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Mentre gli occhi di tutti erano fissi sull’ennesima fantastica prestazione di Bolt (campione sui 200 dopo il successo nei 100), mentre sui giornali di tutto il mondo si discuteva e polemizzava sulla vergogna del doping dell’italiano Schwazer (forse gli toglieranno anche l’oro del 2008), un altro italiano, sconosciuto, rispiegava a tutti cosa vuol dire fare sport. Pulito.
A 36 anni Fabrizio Donato entra nella storia dell’atletica col bronzo nel salto triplo, ma perché è così importante questo risultato?
Perché, nonostante l’età, ha fatto tremare fino all’ultimo i due statunitensi di 22 e 21 anni che hanno poi vinto oro e argento.
Perché ha vinto alla fine di una carriera esemplare per continuità ed impegno (dal record italiano nel 2000 al titolo al coperto a Parigi nel 2011).
Perché, in una delle specialità atletiche più faticose ed usuranti, non ha mai mollato: ha ottenuto il bronzo a Londra stringendo i denti, sopportando il dolore (mal di schiena e tendine di Achille) senza bisogno di doping o altri “aiuti”.
Perché è un atleta che per vincere non ha bisogno della droga delle telecamere della tv a spiare ogni suo passo: gli basta la carica che gli viene dalla sua famiglia e la passione per raggiungere “il sogno di una vita”.
Serietà, umiltà, tenacia, professionalità, continuità. Che altro vogliamo da uno sportivo, anzi da un uomo?
p.s. il quarto posto nel triplo è stato conquistato da Daniele Greco, un giovane di 23 anni che fa ben sperare nel futuro dell'atletica italiana.