Un cammino comune per ebrei e cristiani
Ieri si celebrata la Giornata dell'approfondimento della conoscenza dell'ebraismo con manifestazioni in tutta Italia. Dopo duemila anni si cerca una vera amicizia
Ieri, 17 gennaio, si è celebrata la Giornata dell’approfondimento della conoscenza dell’ebraismo «un evento di portata nazionale ormai ben radicato nella tradizione cristiana» scrive Lisa Palmieri Billig in un interessante articolo riportato dal sempre ben documentato Vatican Insider de La Stampa di Torino. La celebrazione, giunta alla 23esima edizione, è nata da una «iniziativa della Chiesa cattolica – riconosce il rabbino Giuseppe Laras, nel corso di un’intervista rilasciata alla Radio Vaticana, – […] proprio per cercare di rendere più semplice e più importante il dialogo ebraico-cristiano. Quindi, in occasione di questa data, ci sono degli incontri tra ebrei e cattolici e si riflette soprattutto su questioni che possiamo affrontare insieme, come il perseguimento della pace, della comprensione reciproca, dopo duemila anni di incomprensioni e di cose molto negative».
La celebrazione, giunta alla 23esima edizione, è nata da una «iniziativa della Chiesa cattolica – riconosce il rabbino Giuseppe Laras, nel corso di un’intervista rilasciata alla Radio Vaticana, – […] proprio per cercare di rendere più semplice e più importante il dialogo ebraico-cristiano. Quindi, in occasione di questa data, ci sono degli incontri tra ebrei e cattolici e si riflette soprattutto su questioni che possiamo affrontare insieme, come il perseguimento della pace, della comprensione reciproca, dopo duemila anni di incomprensioni e di cose molto negative».
Le iniziative nella giornata di ieri sono state numerose e la Billig nel suo intervento ne fa presente un buon numero, proprio a sottolineare l’impegno reciproco alla costruzione di una vera amicizia che non assicuri solo il superamento dell’antisemitismo, ma percorra la strada tutt’altro che semplice di una fratellanza vera, sincera e profonda.
Il processo richiede tempo e pazienza e la fretta può essere il vero ostacolo. Non si può, infatti, dopo secoli dolorosi di separazione ed odio, che interpellano noi cristiani a profondi esami di coscienza, pretendere di aggiustare tutto e ripartire su basi diverse. La storia pesa e, sebbene si sia decisamente voltato pagina, è indispensabile avere la coscienza che il tempo è necessario per risanare ferite e riacquistare la fiducia gli uni negli altri. Proprio la fiducia è la chiave di volta, che può garantire un cammino lento, forse, ma sicuro. L’avere fiducia gli uni negli altri, infatti, ridimensiona divergenze, problemi teologici e prospettive storiche. Non si tratta di superficialità, ma di fondare il dialogo sul rapporto più che sulle questioni aperte.
Personalmente, in questi anni ho avuto modo di vivere molti momenti di dialogo profondo ed intenso con fratelli e sorelle ebrei e, spesso, proprio in situazioni difficili che sembravano negare la possibilità di un cammino comune. Ricordo un momento a Gerusalemme con un gruppo di cristiani ed ebrei, era il 2009, nei giorni successivi al conflitto di Gaza e al caso Williamson. La comune decisione, coraggiosa in quei momenti, di proseguire il dialogo ha cementato il nostro rapporto.
Inoltre, dobbiamo tenere conto di due fattori importanti. È necessario da ambo le parti un dialogo ad intra, in modo da rendere fruttuosa la serie di rapporti che cristiani ed ebrei stabiliscono fra loro. Spesso, fratture all’interno della cristianità o fra diversi gruppi di ebrei possono inficiare gli sforzi comuni nel dialogo. Un secondo aspetto che viene sempre più in evidenza come una questione di vitale importanza è la coscienza che, spesso, molto più di quanto pensiamo, si dà alle stesse parole significati profondamente diversi. Questo può ingenerare incomprensioni e malintesi se non veri e propri contenziosi.
Dobbiamo avere la pazienza di ascoltarci per imparare quale significato l’altro dà a parole che sono fondamentali nelle nostre tradizioni. Proprio questo ascolto paziente che porta al riconoscimento dell’altro per quello che è, piuttosto che per quello che io penso o desidero che sia, costituisce una strada sicura verso un rapporto vero e consolidato.