Un calvario che viene da lontano
Nel dicembre 2016 papa Francesco e Bashar al Assad si sono scambiati delle lettere dove entrambi mettevano il dito nella piaga, anzi nelle piaghe che logorano e spesso straziano da più di 50 anni il Medioriente, come lo chiamano giornalisti e diplomatici (per storici e geografi è invece il Vicino Oriente). Nel suo messaggio Bergoglio insisteva sulla pace e sulla fine di guerre, stragi e distruzioni in quell’area tormentata, mentre il dittatore siriano, assicurando di avere uguali obiettivi, aggiungeva che «la Siria può rappresentare un modello di convivenza tra culture religiose, come del resto è sempre stato» (il corsivo è nostro).
Questo il punto. Assad (almeno su questo) ha ragione: il Vicino Oriente è stato per secoli teatro di coesistenza pacifica e di scambio non solo tra popoli, razze e Paesi, ma pure tra giudaismo, cristianesimo e Islam. Al di là delle fasi di tensione e violenza – come l’aggressiva espansione arabo-musulmana del VII secolo (definita “la jihad storica”), il conflitto politico-religioso innescato dalle crociate dopo il 1000 e certe durezze dell’impero ottomano fino al primo ’900 –, le tre comunità religiose hanno vissuto in relativa tranquillità, accettandosi reciprocamente e sviluppando le loro culture e presenze. Fino a metà del secolo scorso.
La fine della Seconda guerra mondiale e gli ultimi 60-70 anni hanno però destabilizzato tutto, con la nascita di Israele, le sue guerre con gli arabi, il dialogo spesso tra sordi nel mondo arabo, il business petrolifero, la lunga guerra Iran-Iraq sullo sfondo del crescente dissidio tra sunniti e sciiti, le rivoluzioni islamiche (vedi l’Iran) e il radicalismo coranico sempre più diffuso, fino alla violenza terroristica. E poi l’impegno militare americano e occidentale in Afghanistan e Iraq, le due guerre del Golfo, la guerra civile in Siria e la discesa in campo della Russia di Putin, il sorgere dell’Isis e quindi l’esplosione di un’emergenza umanitaria e di un flusso migratorio verso Europa e Occidente senza precedenti. Ebbene, tornando alle religioni, tutta questa settantennale tempesta politico-economico- militare (e solo in parte religiosa) fra i tanti effetti negativi ne ha avuto uno tra i più perversi e dolorosi, che coinvolge le Chiese cristiane del Vicino Oriente: ossia il drastico calo di fedeli, morti in guerra o negli eccidi, ma soprattutto emigrati.
Il grande storico patrologo Paolo Siniscalco, allievo ed erede di un fondatore della patristica italiana come Michele Pellegrino, pubblicava nei primi anni 2000 un interessante volume sulle antiche Chiese orientali, che ha permesso di leggere in modo chiaro la complessa realtà del Vicino Oriente e delle Chiese locali, alla luce del percorso storico e delle caratteristiche culturali e spirituali di ciascuna comunità cristiana mediorientale. Eventi e sviluppi degli ultimi 15 anni hanno stimolato Siniscalco a ripubblicare il libro aggiornandolo e arricchendolo. Ora il titolo è Le antiche Chiese cristiane d’Oriente: un cammino millenario (Città Nuova 2016).
La prima parte (molto più ricca di un’introduzione) è il racconto e il bilancio degli ultimi 15 anni. Guerre, conflitti, controversie, crisi e flop diplomatici, ci sono tutti, ricostruiti e documentati. E c’è pure il “rifiorire” (mi esprimo così in stile evangelico, ma con dolore!) frequente del martirio, oltre all’esodo continuo dei cristiani. Le cifre sono impressionanti. Nel 1948 i cristiani erano il 10% in Palestina, ora non raggiungono il 3%. In Egitto i copto-ortodossi sfiorano il 10%, ma il recente sanguinoso attentato del Cairo, dove sono morti 20 fedeli, mostra le difficili condizioni in cui versa quella Chiesa. È il punctum dolens: finché il Medioriente rimarrà una polveriera, i cristiani mediorientali saranno il vaso di coccio tra i vasi di ferro, cioè Israele, unificato e forte, e ilmodello musulmano, diviso sì in sunna e scìa, ma unico e solidale. La fine del calvario di Aleppo e la pace politica in tutto lo scacchiere speriamo portino di nuovo alla concordia pure religiosa. E alla fine dell’emorragia e del decremento dei cristiani d’Oriente. È quanto conclude Siniscalco, alla luce della storia, della teologia e di tutti i valori delle Chiese del Vicino Oriente, analizzati e studiati con scrupolo pari alla passione.