Un bilancio comune per i Paesi dell’euro

Si va verso l’accordo per un piano economico nell’eurozona. Una grande occasione che l’Italia può cogliere muovendosi bene nel contesto internazionale. Un'opinione

Forse troppo concentrata sulla reazione dei ministri delle finanze dell’Eurogruppo ai conti del ministro Tria, la stampa italiana ha un po’ trascurato di commentare una decisione davvero importante, l’accordo di proporre alla ratifica dei rispettivi governi la creazione, per il prossimo anno, di un bilancio comune.

Disporre di un “bilancio comune” significa avere una istituzione tramite cui raccogliere e distribuire risorse: significa porre una base concreta alla istituzione di un ministro del Tesoro dell’Eurogruppo, passo fondamentale per una maggiore integrazione e per liberare i Paesi dell’Euro  da quella politica di austerità che ne rallenta lo sviluppo e soprattutto impedisce al nostro continente di esercitare sulla politica mondiale quella influenza che i suoi talenti di cultura e di potenza economica dovrebbero consentire.

Avere un bilancio autonomo, magari sussidiato dalla Banca centrale europea oppure tramite le web e carbon tax che tutti auspicano, permetterebbe di finanziare progetti infrastrutturali di interesse comune e anche di intervenire in aiuto allo sviluppo dei Paesi africani,  con vantaggio anche del lavoro europeo, senza aumentare i debiti degli stati e senza dover condividere quelli esistenti, rassicurando così i tedeschi nel cui immaginario è sempre presente il fantasma dell’inflazione che annulla il valore dei risparmi, come successo novanta anni fa con la svalutazione del marco, preludio della salita al potere di Hitler.

Istituire un bilancio comune è una decisione certamente ispirata ai nuovi equilibri politici dopo le elezioni europee, quelli che possono portare a correggere le regole vigenti nella direzione da molto tempo auspicata dall’Italia e condivisa anche dal presente governo: però agendo nel modo giusto, perché aderendo all’euro ci siamo impegnati a rispettare delle regole che non possiamo adesso ignorare perché i cittadini – solo quelli italiani –  hanno deciso diversamente con il  loro voto.

L’ultima velata minaccia – se non viene accettato il nostro bilancio  – di bloccare le elezioni dei nuovi rappresentanti della comunità, oltre che irrealizzabile perché richiederebbe il consenso di molti altri Paesi,  assomiglia – più che ad un tragico “muoia Sansone con tutti i Filistei” – al capriccio di un bambino che rifiuta la colazione per impensierire i genitori: nessuno si impensierirà per noi, in particolare non lo faranno le menti politiche più attente, quelle  che in passato sono riuscite a far accettare ai nostri politici regole a loro favore, adesso intoccabili grazie alla regola della unanimità delle decisioni.

Per ottenere risultati occorre creare alleanze con i Paesi più influenti e fare il nostro gioco con le regole esistenti quando è davvero il nostro momento, imparando dalla esperienza dell’allora premier Monti, per molti anni commissario europeo, che nel 2012 ha saputo giocare la carta vincente malgrado la criticità della situazione.

In quegli anni lo spread era altissimo ed andava varato il Fondo salva Stati per assicurare dal rischio di insolvenza i titoli italiani e spagnoli: Monti non ha imprecato o accusato alcuno, ha semplicemente atteso il momento in cui poteva porre il veto italiano sulle decisioni  del Consiglio europeo ed ha ottenuto senza strepiti il varo del Fondo; solo la Spagna poi lo avrebbe utilizzato, a spese anche del contributo italiano.

Abbiamo bisogno di governanti che sappiano muoversi nei rapporti internazionali e soprattutto che condividano il sogno di un futuro sostenibile per tutti e il sogno degli Stati uniti d’Europa, pronti a mettere a disposizione la loro cultura millenaria per una evoluzione pacifica dell’umanità: un ideale ben più grande e valido di piccole logiche di bottega, un ideale che piace in particolare ai giovani.

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