Un Beethoven titanico

Kirill Petrenko, nuovo direttore dei Berliner, ha presentato all'Accademia nazionale Santa Cecilia una Nona sinfonia immensa, vasta come il messaggio universale di fratellanza e di gioia che ne forma il finale esaltante

Altro che l’asciuttezza di Toscanini, la cantabilità di Muti, il preziosismo di Karajan, solo per citare alcuni dei nomi di direttori che hanno affrontato un colosso come la Nona Sinfonia di Ludwig. Kirill Petrenko, 47 anni, russoaustriaco, nuovo direttore dei Berliner, non copia nessuno, ma è sé stesso. Ovvio, che li conosce: Klemperer, Furtwangler, Karajan soprattutto. Cioè la grande tradizione sinfonica tedesca. E si sente. Non un Beethoven asciugato, per nulla titanico o interiorizzato soltanto, come oggi si tende a fare. Ma il Ludwig di una lunga tradizione interpretativa, dinamica e ciclopica in cui siamo cresciuti e che è stata anche strumentalizzata e banalizzata (i cellulari con l’Inno alla gioia!). Certo, la Nona che Ludwig sentì (o meglio non udì, era totalmente sordo) nel 1824 con un’orchestra ridotta e tecnicamente non eccelsa, non erano i complessi romani di Santa Cecilia, dal livello altissimo. Ma il pensiero di Beethoven era fatto per grandi orchestre, per comunicazioni universali.

Su questa linea si è posto Kyrill, dal gesto dinamico, dal corpo “musicale” che ha presentato una Nona immensa, vasta come il messaggio universale di fratellanza e di gioia che ne forma il finale esaltante, velocissimo, un sussulto cosmico che ha scatenato l’uragano di applausi.

Ma la Nona è anche il punto di arrivo del Beethoven sinfonico, perché le esperienze precedenti dalla Terza in poi, son tutte racchiuse, purificate, si direbbe, nei primi due tempi: l’incipit nebuloso come il caos prima della creazione, lo Scherzo come la vita impressa al cosmo e l’Adagio – l’ultimo brano ad esser composto – che è la conquista della pace come dono divino, l’ingresso in un paradiso luminoso.

Kyrill ha fatto sì che l’orchestra emergesse negli strumentini, negli ottoni con chiarezza stupenda, che cantassero gli archi e che un impulso vivificatore, un ritmo frenetico pervadesse l’intera sinfonia, immergendosi fisicamente nell’orchestra stessa. Forse una maggior liricità ci si sarebbe aspettata nell’Adagio, un canto più flessibile. Il Finale con il coro di una bellezza unica e con i 4 affiatai solisti − strumenti e non solo voci − è stato travolgente.

Quale Beethoven ci ha regalato Kyrill? Forse quello più indomabile e indomato, quello che non si arrende, e quello profetico. Dopo la Nona, si potrà solo scrivere sinfonie “diverse”, ma che non possono prescindere da essa. Kyrill, dalla lunga esperienza alle spalle, questo lo avverte. La Nona di Beethoven non è solo l’Inno alla gioia, è la creazione stessa a mostrarsi vita nella sua vita perenne. Un evento, lo scorso 6 aprile.

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