Un bacino per Ahmed

«Aiutatemi! Non voglio paralizzarmi. Ma continuare a sorridere». Questa la richiesta di un giovane romano di origine araba che soffre di degenerazione del tessuto osseo. La campagna di raccolta fondi finanzia l’intervento di novembre che non può essere rimandato, se vuole ricominciare a camminare
Ahmed

«Mio padre mi diceva sempre: “Se prendi uno stuzzicadenti, lo puoi spezzare facilmente. Ma, se ne prendi cento, tutti insieme, malgrado siano tutti fragili, non ci riuscirai mai!”. Ma, sai, prima, ero giovane, chi capiva! Ma ora, ora che lotto per non rimanere paralizzato, mi è tutto chiaro: coinvolgere gli altri. Legare le persone tra loro, con un senso di responsabilità sociale, reale e tangibile. Che a sua volta alimenti la fantasia di ciascuno. Un circolo virtuoso, naturale. Questo è ciò di cui ognuno, e tutti insieme, abbiamo bisogno!».

Così, Ahmed Barkhia inizia a raccontare di sé. I suoi occhi scurissimi non possono certo celare a lungo l’origine araba dei suoi genitori. Mentre, nitidamente, una scintilla di luce, quella della speranza più intrepida, viene alimentata da un animo, così agguerrito, tanto che sembra di intravedervi un gladiatore. E, infatti, Roma è la sua città. Da sempre. Sin da quando è nato. 30 anni fa.

Poi continua: «Il dott. Koen De Smet, un ortopedico luminare a livello mondiale, mi ha detto: “75 mila euro è il costo per il tuo intervento, per non perdere la mobilità. Ma attento: ti devi operare entro e non oltre il prossimo novembre. Per poter garantire un trattamento efficace al fine di non intaccare comunque in modo profondo l’equilibrio del tuo corpo”. E io, da solo, dimmi: dove posso sperare di trovare una cifra così elevata? Per giunta, in così poco tempo! Così ho pensato: devo coinvolgere gli altri! Proprio come mi diceva mio padre!».

Ahmed, infatti, ha un difetto congenito, il nanismo ipofisario, con il quale è costretto a confrontarsi sin dalla nascita. Da circa 8 anni, poi, soffre anche di acondroplasia displasica e coxartrosi femorale bilaterale, con aggiunta di osteonecrosi. Questa seria patologia è in grado di aggredire il tessuto osseo, togliendogli l’ossigeno. Questa carenza, poi, alla lunga, porta alla morte del tessuto osseo stesso. Il risultato è terribile: l’osso si sfalda lentamente, non potendosi più rigenerare. In sostanza, Ahmed, con il passare degli anni, pian piano, ma inesorabilmente, si sta paralizzando.

Nervosamente, poi, martoriando i suoi cespugliosi mustacchi che tanto sanno di Dalì, aggiunge: «Una persona sana non ha idea di quanto sia fortunata! Nella mia vita, ho visitato più ospedali che musei. Spesso mi sono sentito dire: “Tu cammina finché puoi. Quando non ce la fai più, allora operiamo e mettiamo una protesi d’anca. Quando poi non potrai più muovere il ginocchio, metteremo una protesi anche lì. Insomma, quando non potrai più muoverti (omettendo l’estremo dolore), ti mettiamo in lista d’attesa e nell’arco di un anno ti operiamo”. E in tutto ciò mi sono sempre chiesto: possibile che, oggi come oggi, accedere in una struttura pubblica italiana e risolvere un problema debba essere un terno al lotto? Possibile che, per come funziona il nostro sistema, il figlio del medico deve fare il medico, malgrado il risultato, spesso pietoso, e che possa decidere della qualità della vita di un paziente? Possibile che, per me, non ci sia una soluzione e l’unica sia arrendersi? Ma, ad un certo punto mi sono detto: ora basta! Così, ho iniziato a cercare fuori dall’Italia. Volevo trovare le risposte che qui non ricevevo!».

Ahmed ha così iniziato a girare l’Europa. Passando per Parigi e Londra, completamente incurante delle infinite risposte negative ricevute in Italia. Infine, a Cambridge, ha saputo dell’opportunità di poter risolvere questo suo problema in Belgio, con l’aiuto del dott. Koen De Smet e delle tecnologie applicate più all’avanguardia. «Nessuno dovrebbe mai sentirsi dire, come è capitato a me: “È tardi! È passato troppo tempo! Se avessimo agito nel passato, il problema si sarebbe potuto risolvere, debellandolo completamente, attraverso un’operazione chirurgica non invasiva. Ma oggi lo stato avanzato

dell’osteonecrosi non permette altroché una sostituzione completa dell’anca”. Capisci? Avevo ragione io. Ciò che mi avevano detto e ridetto i medici, in Italia, non è l’unico epilogo possibile alla mia storia».

Ma non finisce qui. Come un bambino, in un micro-secondo, passando dalla rabbia alla gioia e aprendosi in un sorriso a 36 denti, racconta come la sua incredibile testardaggine e forza d’animo lo hanno portato a ingegnarsi ancora. Ha creato “un bacino per Ahmed” (http://ahmedbarkhia.net/), una campagna di fundraising, completamente digitale e social, per intraprendere una corsa contro il tempo e contro il suo destino. «Inizialmente, ho creato una campagna su una piattaforma americana. Ma questo non bastava. Anche perché le poche donazioni che arrivavano erano strozzate dalla morsa della tassazione americana al 17 per cento. Perciò, ho capito che, da solo, non ce l’avrei mai fatta. Così ho pensato: devo coinvolgere altri. Anche chi ancora non conosco di persona. Proprio come diceva mio padre. Così, in 10 giorni, ho creato un mini-staff. Da quel momento tutto è cambiato! Da solo non riuscivo ad avere efficacia. Ma, con loro, abbiamo avuto alcune idee incredibili, come i video virali di “#UNBACINOPERAHMED” in cui le persone, dopo aver donato, mandano un video in sostegno della raccolta fondi. Sensibilizzare e condividere, con gli altri, anche un problema. Questa è la soluzione! E dal profondo del cuore vorrei dirvi: se potete, aiutatemi, fate una piccola donazione. Tutte insieme, seppur piccole, possono invertire il mio destino. Io ci credo! Ma soprattutto vorrei dirvi: non smettete mai di sorridere. Perché il sorriso ci permette di stare sereni malgrado il buio che è intorno a noi. Perché è quel lume interno che sconfigge ogni paura e ogni tenebra. Perché è contagioso e perché è un fortissimo strumento di socializzazione. Perciò, vi prego, sorridete sempre! Qualcuno sorriderà sicuramente con voi!».

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