Un ascolto che parte dal cuore

«Credo che la grande sfida dei comunicatori sia quella di fare dei media un punto di convergenza e di dialogo». L'intervista al giornalista e comunicatore Óscar Elizalde Prada, in occasione della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali.
Foto: Pixabay

Ascolto, empatia, rispetto dell’altro e della sua storia. È quanto raccomanda papa Francesco nel Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali. In occasione della Giornata abbiamo intervistato Óscar Elizalde Prada, giornalista, Direttore della Comunicazione e Marketing dell’Università La Salle di Bogotá e Membro della Commissione per la Comunicazione della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi.

Papa Francesco nel Messaggio per la Giornata Mondiale delle comunicazioni sociali scrive che all’uomo «è richiesto di sintonizzarsi, di mettersi in ascolto» dell’altro, un ascolto che sappia rispettare la persona, la sua storia, la sua vulnerabilità. Nella sua esperienza di comunicatore, in che modo si mette in ascolto della storia delle persone e cerca di raccontarla?
L’ascolto dell’altro è il «primo atto» di una comunicazione genuina e penso che sia ciò che il Papa ci vuole indicare quando dice che l’ascolto è decisivo nella «grammatica della comunicazione». Per raccontare una storia, cerco sempre di farmi sorprendere dalla novità dell’altro, dal suo sguardo, dalla sua esperienza di vita, dalla sua saggezza… Quando ascolto, mi sforzo di «mettere a tacere i miei rumori interni», per non perdere nessun dettaglio e scoprire la ricchezza e l’originalità della narrazione. L’espropriazione del proprio io e l’empatia sono essenziali per «sintonizzarsi» con l’altro. Quando condivido una storia cerco di rispettare la parola che mi è stata affidata, con la maggior fedeltà possibile, con rispetto, cercando di prolungare negli altri l’affascinante esperienza che ho vissuto. Raccontare una storia, in definitiva, mi impegna a testimoniare ciò che ho visto e sentito.

Al tempo dei social abbiamo tante occasioni di ascoltare: i podcast, le chat audio… Come si può «umanizzare» questo tipo di comunicazione e renderla una vera occasione di incontro e non un modo per isolarsi?
I nuovi formati comunicativi – molti dei quali digitali – ci sfidano alla creatività e alla credibilità. All’Università La Salle abbiamo un Podcast chiamato ‘Prismavoz’ dove ogni settimana affrontiamo un argomento di interesse generale. Lo facciamo con la voce di esperti del mondo accademico, della società, delle organizzazioni non governative (ONG), ma abbiamo sempre uno spazio per i nostri giovani. Lo chiamiamo “vox populi” (la voce del popolo). Credo che la grande sfida dei comunicatori sia quella di fare dei media un punto di convergenza e di dialogo che renda possibile la «cultura dell’incontro» e ci permetta di ascoltarci, di dialogare anche a partire dalla differenza. Mi sembra che questo possa essere un modo per «umanizzare» questi nuovi mezzi di comunicazione.

Papa Francesco nel suo Messaggio dice: «La capacità di ascoltare la società è quanto mai preziosa in questo tempo ferito dalla lunga pandemia. Tanta sfiducia accumulata in precedenza verso l’“informazione ufficiale” ha causato anche una “infodemia”, dentro la quale si fatica sempre più a rendere credibile e trasparente il mondo dell’informazione». In che modo il mondo della comunicazione può recuperare credibilità ed essere ritenuta degna di fiducia?
Recuperare credibilità e fiducia è un imperativo per chi come noi opera nel mondo della comunicazione. Nella Chiesa latinoamericana abbiamo intrapreso un processo di rinnovamento in chiave sinodale, che ci ha portato a considerare la necessità di sostenere una comunicazione etica, senza falsità o tolleranza della disinformazione, che permetta di mettere in primo piano la verità – anche se è dolorosa –, la verifica delle fonti e la promozione della fraternità e della dignità umana, nonché la difesa e la cura della vita. Si tratta, se vuoi, di una «comunicazione profetica» disposta a denunciare le ingiustizie, ad annunciare storie cariche di speranza e impegnate, soprattutto, per la verità.

Come è possibile mettere in rete i diversi canali di comunicazione – rispettando  la pluralità e la varietà delle voci – in modo che anche questo risulti un lavoro sinodale e di comunione? Ci sono già delle esperienze?
Non è facile, ma è possibile realizzare una comunicazione sufficientemente plurale, una comunicazione in una prospettiva sinodale che renda possibile la comunicazione e la partecipazione. Nello svolgimento dell’Assemblea Ecclesiale dell’America Latina e dei Caraibi, abbiamo potuto costruire un’esperienza di collaborazione che ha collegato diversi attori della comunicazione del continente attorno alla campagna #VozNuestra, uno spazio informativo, in formato video, che ci ha permesso di “dare la voce” al Popolo di Dio che aveva partecipato alla fase di ascolto. È così che abbiamo condiviso testimonianze di giovani venezuelani e peruviani, di laici, religiosi, sacerdoti e vescovi di vari paesi come Brasile, Panama, Costa Rica, Repubblica Dominicana, El Salvador, Messico, tra gli altri, e abbiamo anche raccolto alcune voci delle popolazioni autoctone – come quella del catechista indigeno boliviano Rubén Yuco – e di vari sacerdoti e religiosi influencer – come la colombiana Martha Moreno ‘sor selfie’ e il messicano Javier Garza ‘fray foto’ –, che hanno nutrito con la sinodalità le scommesse comunicative che hanno accompagnato il cammino dell’Assemblea ecclesiale.

Lei ha partecipato all’ultimo Sinodo dei Vescovi. Qual è stata la sua esperienza di comunicatore?
L’ultimo Sinodo mi ha permesso di scoprire che la comunicazione è un servizio che va oltre l’azione informativa. La comunicazione, nella sua natura ecosistemica e convergente, presuppone un atteggiamento e una pratica sinodale. In questo senso, il Sinodo Panamazzonico è stato per me una «esperienza fondante» nel mio modo di intendere l’interfaccia sinodo-comunicazione a partire dal primato dell’ascolto e del necessario discernimento che ci permette di affrontare i nuovi cammini che la Chiesa deve percorrere nella regione Panamazzonica. Per comunicare in modo veritiero e pertinente, era necessario ascoltare tutte le voci e incontrare i “volti” della Chiesa in Amazzonia. E devo dire che le interviste con i rappresentanti dei popoli indigeni e con le missionarie sono stati particolarmente rivelatori di ciò che lo Spirito sta chiedendo alla nostra Chiesa. Tutti questi insegnamenti mi accompagnano ora come membro della Commissione per la Comunicazione del Sinodo sulla Sinodalità.

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