Un Anno Sacerdotale

Una riflessione sulla dimensione sacerdotale dei carismi alla luce di Gesù Sacerdote che dà la vita per amore.
Anno sacerdotale

Nell’anno dedicato al sacerdozio ministeriale anche "Unità e Carismi", nel suo ultimo numero dell’annata 2009, si interroga esplicitamente sulla dimensione sacerdotale di tanti carismi elargiti sulla comunità dei credenti lungo la storia fino ai tempi d’oggi. Il sacerdozio cristiano può essere, infatti, letto e vissuto a pieno titolo come un carisma – dono di grazia dello Spirito di Cristo risorto offerto alla sua Sposa, la Chiesa.

 

Un considerevole numero dei carismi di vita consacrata, poi, si è rivelato come una risposta provvidenziale ai bisogni della “famiglia di Dio” in terra, perno dell’unità del genere umano, proprio nella forma di aggregazione dei sacerdoti (chierici), uniti da un’esperienza carismatica nuova per un fine che richiedeva questa forma ministeriale di vita. Non a caso dunque l’Anno Sacerdotale (19 giugno 2009-2010) indetto da Papa Benedetto XVI interessa da vicino anche la vita consacrata.

 

Alla radice di tutto sta non tanto il sacerdozio in sé, quanto il Sacerdote della Nuova Alleanza, Gesù di Nazaret, il Messia crocifisso e risorto. Non appartenendo alla classe sacerdotale anticotestamentaria, quella dei discendenti di Aronne (tribù di Levi), Gesù “passò beneficando e risanando tutti” (At 10, 38) come un laico e istituì il sacerdozio cristiano senza alcuna continuità tra il sacerdozio ereditario giudaico e quello che in Lui diventava una novità salvifica assoluta (sacerdozio nella “figliolanza divina”, secondo le testimonianze estese della lettera agli Ebrei). 

 

Il Sacerdote nuovo si identificava con l’offerta di sé e insieme era l’altare della sua offerta:  quella della propria vita, donata senza riserve al Padre e all’umanità. L’apice di questo sacerdozio inatteso si è rivelato in un luogo inaudito: sul Calvario, in un contesto decisamente “anti-sacerdotale” e in una veste estremamente “anti-liturgica”, se il metro della sua comprensione dovesse provenire dalla matrice giudaica. 

 

Questo Sacerdote, nel suo nascere, veniva, infatti, teologicamente dichiarato “maledetto” dalla Legge stessa in quanto appeso sul legno (Dt 21, 22-23), segno di un orribile anti-valore e della completa inaccessibilità alla salvezza per chi intendesse unirsi alla sua offerta (una vita dannata) e al suo altare (il patibolo di chi muore senza speranza). 

 

Gesù crocifisso e abbandonato moriva in una completa nudità umana e in un oscuramento relazionale impenetrabile. Rimanendo però l’Amore fino al suo ultimo respiro (che coincide con il dono del suo Spirito – emisit spiritum), per una risposta dello stesso Amore, veniva riportato in vita per l’opera del Padre e ridonato all’umanità quale Sacerdote della definitiva alleanza. In questo modo la sua “liturgia” senza precedenti non finiva con l’odore di “bruciato” di una morte sacrificale qualsiasi, ma sprigionava il “profumo” della vita che non muore mai, come non può morire l’Amore vero. 

 

Con questo sacerdozio è nata la liturgia definitiva, quella nuova, che celebra la Vita e non è soltanto un’offerta che si conclude con l’annichilimento della sua sostanza sacrificale. È questo il culto nuovo che l’Apostolo Paolo, avendolo contemplato nel Risorto, proporrà ai seguaci di Gesù come l’unico modo “logico” di piacere a Dio (Rm 12, 1-2). Più tardi, anche Giovanni lo indicherà come il “luogo” che il Padre cerca per essere adorato “nello Spirito e nella verità”, cioè in Gesù e nella sua verità che coincide con l’amore (Gv 4, 23).

 

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