Un anno dopo il discorso di Obama
America e Islam: il 4 giugno 2009 il Presidente degli Stati Uniti pronunciava un discorso che senza dubbio resterà negli annali della storia più di quello del suo insediamento.
Barack Obama, dall’Università di al-Azhar, tempio indiscusso di una delle più alte espressioni della cultura e dei processi educativi islamici, non si è rivolto ad uno Stato e, nemmeno, ad un gruppo di Stati, ma all’Islam in generale. Il presidente era, certamente, cosciente dell’asimmetria di un tale rapporto. Ma ha accettato la sfida a cui l’ha costretto chi l’ha preceduto.
Uno Stato confederale, gli Usa, sebbene simbolo di una politica e di certi valori, da anni si era infatti rivolto non verso altri Stati, ma direttamente al mondo musulmano. Un’operazione, a ben guardare, fuori delle lunghezze d’onda abituali. Di fatto la tensione Usa-Islam aveva rimpiazzato quella della Guerra fredda, che aveva messo gli americani di fronte ai sovietici. Ma se in quel caso erano due nazioni a confrontarsi, senza dubbio coi loro blocchi composti da altri Stati e con i rispettivi valori e prospettive ideologiche, questa volta erano, da una parte, una nazione e, dall’altra, milioni di fedeli di una religione mondiale, a porsi gli uni di fronte agli altri.
Ebbene Obama, ha avuto il coraggio, come presidente Usa, di “giocare” proprio su questo malinteso per recuperare un rapporto pericolosamente incrinato e tentare di rimettere le cose nella giusta prospettiva. Il suo discorso, infatti, mirava ad un’inversione di rotta che, lo riconosceva lui stesso, non poteva avvenire nel giro di poche ore. Si trattava di scoprire la vera fisionomia dell’Islam da una parte e degli Usa e dell’Occidente dall’altra «per cercare l’inizio di un rapporto che si basi sull’interesse reciproco e sul mutuo rispetto; un rapporto che si basi su una verità precisa, ovvero che Usa e Islam non si escludono a vicenda, non devono necessariamente essere in competizione tra loro. Al contrario, Usa e Islam si sovrappongono, condividono medesimi principi e ideali, il senso di giustizia e di progresso, la tolleranza e la dignità dell’uomo».
Si potrebbe pensare che a 12 mesi di distanza poco sia cambiato e gli avvenimenti degli ultimi giorni potrebbero confermare le sensazioni dei pessimisti. Eppure, come Obama aveva auspicato, un new beginningRoma per iniziativa dell’ambasciatore statunitense presso la Santa Sede, Miguel H. Diaz, che con felice intuizione ha convocato un incontro rivelatosi una stimolante riflessione sulla strada aperta dal presidente statunitense. c’è stato. Lo dimostra la celebrazione del primo anniversario del discorso del presidente Usa, svoltasi a
Intitolato proprio “Per un nuovo inizio”, si è svolto presso il Centro studi americani con tre interventi di alto profilo. Oltre al capo della rappresentanza diplomatica Usa presso la Santa Sede, sono intervenuti padre Ayuso Guixot, preside del Pontificio istituto di studi arabi ed islamistica (Pisai) e la sig.ra Lamia Mekhemar, ambasciatrice della Repubblica araba di Egitto presso la Santa Sede. Proprio la diplomatica egiziana ha offerto non solo una riflessione importante, ma un contributo in prima persona al nuovo inizio proposto da Obama. Di fronte ai recenti fatti che hanno visto Israele protagonista dell’attacco alle navi dei pacifisti, ha confessato di essersi interrogata sul valore di una celebrazione come quella di oggi. Ma forse mai, come in questi momenti, ha sottolineato la diplomatica araba, è necessario dimostrare la fede nella pace senza cadere nello sgomento e nella disperazione che il dialogo non è possibile. «Di fronte ad episodi di violenza – ha affermato la signora Mekhemar – dobbiamo schierarci tutti contro la guerra. Yes we can».
Ciò che è venuto in rilievo in tutti gli interventi è il ruolo decisivo che il dialogo può avere nei rapporti non solo religiosi ma anche politici e diplomatici. È alla luce del dialogo che, affermava l’ambasciatore Diaz, ci si rende veramente conto di quanto si è dipendenti gli uni dagli altri e della necessità di affrontare insieme i problemi, condividendo i risultati.
Il presidente Obama ha probabilmente aperto un nuovo paradigma di riferimento che permetterà negli anni futuri di convergere su un impegno sempre più globale verso il bene comune del genere umano.