Un angelo col cellulare
Non hanno le ali e nemmeno vesti candide, ma sanno offrire un aiuto concreto al momento giusto. Sono i nuovi angeli di Stefano Redaelli in "Arrivano in tempo" di Città Nuova editrice che raccontiamo...
Sono in carne ed ossa, e a volte si palesano con sms. Sono gli angeli custodi – e da qualche anno a questa parte hanno arruolato tra le loro schiere anche nonni e nonne come pilastri della casa -, festeggiati nella prima domenica di ottobre. Persone che restano accanto una vita e che al momento giusto sanno offrire anche solo un sorriso. Tutti li scopriamo ogni giorno. Stefano Redaelli li ha raccontati in un libro per Città Nuova, recentemente riedito "Arrivano in tempo". Sono storie brevi, raccontano piccoli episodi ma che assumono un valore inestimabile perché ricordano al mondo l’amore di Dio per ciascuno.
«Una notte lunghissima. Tutti a pregare, chiedendo il miracolo. Le ore che seguono un infarto sono le ore critiche. Ogni battito può essere l’ultimo; un passo verso il cielo o un altro passo sulla terra. Il cuore è un pendolo tra la vita e la morte. Il cuore, questa macchina meravigliosa.
Quando uno dà la vita per la propria gente è considerato un po’ eroe e un po’ santo. Tutti lo amano, lo ricordano. Ma quando uno dà la vita per una patria, per un popolo che non è il suo e lo fa in modo silenzioso, per vent’anni, è molto di più. È il portatore di una novità: amare la patria altrui come la propria. La fratellanza universale vissuta come una missione.
Per questo non riuscivo a immaginarmi la Polonia senza Roberto, quando colto da improvviso malore si è steso sul pavimento e con il volto pallido ma disteso ha detto: «Deve essere un infarto con collasso circolatorio acuto».
E ha iniziato a morire.
Nonostante i dolori fortissimi, comunicava a tutti una pace che si direbbe innaturale in un momento così tragico.
Non ripeterò le sue parole che avevano la sacralità di un congedo. Parole di scusa, ringraziamento, offerta. Dirò solo che la morte non si improvvisa, ci vuole una vita per prepararsi. Roberto era pronto, noi un po’ meno. Pregavamo Maria perché lo mantenesse in vita.
Dopo una mezz’ora infinita è arrivata l’ambulanza, gli hanno somministrato un farmaco e l’hanno portato via. Terapia intensiva. «Adesso dipende tutto dall’effetto della medicina» dicevano i medici. E dalle preghiere, pensavamo noi.
Inizia la veglia.
Avevo lasciato il cellulare acceso, nel caso di eventuali notizie dall’ospedale. Alle 2:45 il segnale di un sms mi desta dal dormiveglia. Leggo il messaggio e rimango senza parole: «Vergine coraggiosa, ispiraci forza d’animo e fiducia in Dio, perché sappiamo superare tutti gli ostacoli che incontriamo nel compiere la nostra missione. Giovanni Paolo II». È mia zia a scriermi dall’Italia, in piena notte, non avendo alcuna cognizione di quello che sta succedendo a 2.000 Km di distanza. «Era stata una giornata dura, non riuscivo a prendere sonno e ho pensato a te», avrebbe spiegato in seguito.
Rileggo il messaggio più volte, quasi nel dubbio che stia sognando. Ma non è un sogno. L’sms è lì, immutato. Scompongo e ricompongo la frase, parola per parola; porta un messaggio preciso. Roberto è nelle mani di una Madre, vergine, coraggiosa, che può guardare in faccia la mortee con un sorriso rimandarla indietro. La missione di Roberto non è finita; c’è solo un ostacolo, più grande degli altri, da superare. Mi è venuta la pelle d’oca.
Sarei voluto andare a svegliare tutti per rassicurarli che non c’era niente da temere. Invece ho spento il telefono, recitato un’Ave Maria e mi sono addormentato, lasciandomi cullare da un pensiero buffo: a quanto pare, oggi gli angeli usano il cellulare.
Due giorni dopo Roberto è uscito dalla terapia intensiva. Poi c’è stata la riabilitazione, l’intervento, la convalescenza, il recupero completo. In realtà, era già tutto scritto nelle parole del papa polacco ciò che sarebbe accaduto.
Conservo gelosamene quell’sms. A volte lo rileggo ed è come se una minuscola finestrina si spalancasse sull’infinito. Fa una certa impressione pensare che dall’eternità, alle ore 2:45 del 16 giugno 2001, ci sia sto recapitato un messaggio».