Un amore per sempre
Vorrei proporre una riflessione sulla solennità del matrimonio, utilizzando come punto di partenza il modello letterario che rappresenta una pietra miliare della cultura occidentale.
Nei due poemi epici Iliade e Odissea il poeta greco Omero racconta la storia del re di Itaca, costretto suo malgrado a lasciare la propria casa, la corte e la famiglia, per ritornare infine alla terra natia dopo lunghi anni di battaglie e interminabili peregrinazioni.
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In un’interpretazione più attenta a una visione psicologica, la nostalgia di casa dell’eroe può essere letta come espressione del desiderio umano verso un’unità, una completezza e un’integrità originarie, ormai perdute.
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Ne è esempio l’ideale romantico dell’amore, di grande attualità ancora oggi. La ricerca dell’unico, vero e solo compagno, il corrispondente sentimento di felicità quando si pensa di averlo trovato e il desiderio che ciò possa durare per sempre, tutto questo sembra confermare l’anelito struggente collegato al mito, l’anelito della persona a completarsi attraverso la riunificazione.
Allo stesso tempo questa visione dell’amore ci comunica che l’essere umano non può in effetti aspettarsi una simile felicità all’interno dei confini della sua esistenza quotidiana. Sulla stessa linea il sociologo Ulrich Beck vede nel concetto tardomoderno di amore una sorta di “religione terrena” che, proprio come le religioni tradizionali, offre una «chiave per sfuggire alla gabbia della normalità».
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L’illusione sottintesa, attinente anche al corpo, è che la felicità dell’amore duri per sempre proprio come all’inizio – e magari fosse così! Tale illusione è ulteriormente alimentata da una cultura in cui standard sociali di bellezza perenne e di inesauribile potenza fisica trasmettono l’immagine di un corpo senza età e nuove tecnologie danno l’impressione di poter sostenere il desiderio di immortalità nella sua lotta contro il processo di invecchiamento.
Se osserviamo più da vicino la storia di Ulisse, cogliamo una concezione totalmente diversa del rapporto di coppia, dell’esperienza del tempo e del modo di confrontarsi con il proprio essere mortali. Durante le sue peregrinazioni, Ulisse viene trattenuto da Calipso e obbligato a rimanere insieme alla ninfa per un lungo periodo. Benché Calipso gli offra la possibilità di rimanere con lei e perciò di diventare immortale, Ulisse decide ugualmente di ritornare dalla moglie Penelope.
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Ulisse decide in favore di Penelope, mortale e soggetta a invecchiamento benché, nel paragone con l’eternamente giovane Calipso, la moglie esca sicuramente perdente.
La filosofa americana Martha Nussbaum ha cercato in un saggio di misurare l’immenso campo magnetico in cui viene attratto Ulisse con la sua scelta, chiedendosi cosa possa indurre una persona a scegliere la morte di un partner amato, piuttosto che optare in favore della possibilità di renderlo immortale.
Secondo la Nussbaum, la scelta di Ulisse può essere compresa solo se si intuisce che cosa la seconda scelta avrebbe comportato, ossia una vita e una relazione d’amore che non sarebbero state più “umane” nel vero senso della parola.
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Se la Nussbaum ha ragione, l’esistenza umana raggiunge un suo significato e una sua dignità proprio grazie alle limitazioni legate alla mortalità del corpo.
I confini imposti all’essere umano possono essere superati solo accettandoli, non aggirandoli.
Valga l’esempio della competitività nello sport. Una gara acquista significato e, in ultima analisi, attrattiva, proprio per il fatto che coloro che mettono a confronto le loro abilità appartengono alla stessa specie e sono egualmente soggetti ai limiti. La gara fra una lepre e un istrice non solo è priva di interesse, ma di qualunque valore sportivo. I risultati hanno valore solo se fanno emergere il meglio entro la cornice delle proprie possibilità fisiche, lottando con successo contro i limiti imposti dalla natura, senza aggirare il confine che separa un velocista da un supereroe, in grado di spostarsi in una frazione di secondo senza sforzo nello spazio e nel tempo.
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Ulisse sceglie l’intero “pacchetto” umano della vita mortale.
Nel matrimonio, i coniugi scelgono in favore della natura mortale del compagno, ma non perché la morte abbia un valore in sé, né per il piacere morboso della sofferenza e nemmeno perché la morte appartiene alla vita come un dato di fatto. Scelgono così per “amore della vita”, una vita che può trasformarsi con il tempo in un’unione duratura e tuttavia ricevere pieno completamento solo dalla propria fine.
Nella liturgia cristiana del matrimonio i coniugi si promettono reciproca ed eterna fedeltà “nella buona e nella cattiva sorte, nella salute e nella malattia” e di conseguenza promettono fedeltà anche al corpo mortale e vulnerabile “finché morte non li separi”. È questo il vero orizzonte da cui il matrimonio trae la solennità, la serietà di una gravità ferrea, che lega il rapporto d’amore alla terra, consentendogli allo stesso tempo di tendere i rami verso il cielo.
Aldegonde Brenninkmeier-Werhahn (ed.), A CUORE APERTO, riflessioni sul significato del matrimonio (Città Nuova, 2014).