Un amico in più
Sono Maurizio Verlezza, sacerdote salesiano. Vivo a Roma e mi occupo della formazione di 25 giovani salesiani nello studentato internazionale San Tarcisio, presso le catacombe di San Callisto sull’Appia Antica, dove sono anche direttore di una comunità di 40 salesiani.
Dio è entrato nella mia vita con la forza del suo Vangelo in una forma del tutto casuale. Oggi ho imparato a dire provvidenziale. Mi ero innamorato di una ragazza che frequentava un gruppo di Giovani per un Mondo Unito che in una parrocchia della periferia romana volevano mettere in pratica il Vangelo e servire i poveri.
Vivevo lontano da Dio e impegnato politicamente a contestare con la mia indignazione tutte le ingiustizie che vedevo nel mio quartiere di Centocelle. Erano gli anni in cui scrivevo sui muri “più case meno chiese, più prati meno preti”.
Nella baracca
Grazie all’incontro con il Movimento dei Focolari, durante gli anni della mia conversione imparai un nuovo modo di contestare, un nuovo modo di cambiare la mia città: attraverso la forza dell’amore. Con la sola forza del Vangelo era possibile un’altra rivoluzione.
Nel gruppo di Giovani per un Mondo Unito si cercava di vivere una parola del Vangelo per un mese intero. Ricordo che ebbe un grande effetto in me la parola: “Ogni volta che avete fatto queste cose ad uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25, 40). Mi ritrovai, sempre spinto da quella ragazza, che poi diventò la mia ragazza, ad aiutare una famiglia di baraccati che viveva lungo il fiume Aniene. La scena era impressionante, la povertà indescrivibile, lo squallore e la puzza di quella baracca vomitevole…
Eppure io in quella baracca ho incontrato Gesù, la parola del Vangelo illuminò quell’incontro. Riuscii a fare delle cose che mai avrei sognato. Io che avevo lottato tanto per la giustizia sociale, io che avevo gridato contro i ricchi che facevano crescere a dismisura la povertà nel mondo, mi trovavo finalmente a sporcare le mie mani per e con i poveri.
In poco tempo le cose iniziarono a cambiare in quella casa, ma chi aveva subito una trasformazione radicale ero io. Quel Gesù di cui ero rimasto affascinato nel meditare il Vangelo, mi si era rivelato nel volto del fratello povero. Ogni volta che entravo in quella baracca mi ritornava in mente le parole di Gesù “L’hai fatto a me”. Era questa parola che mi dava la forza di oltrepassare la soglia di quella porta.
Fu per me una rivoluzione, una vera rivoluzione, senza bombe molotov, senza manifestazioni, ma con la sola ed unica forza del Vangelo vissuto.
L’esperienza mi prese talmente tanto da sentire che il Signore desiderava che io donassi tutta la mia vita per questo Ideale. Grazie all’incontro con un salesiano, e attraverso l’esperienza con i giovani poveri e abbandonati, compresi che Gesù mi chiamava ad essere sacerdote per giovani, secondo il carisma di don Bosco.
Caricando i mobili
Cinque anni fa ho ricevuto il permesso dai miei superiori di poter trascorrere un anno di formazione permanente al Centro internazionale di spiritualità “Claritas” di Loppiano. In quel periodo, bellissimo e faticoso, ho sperimentato la straordinaria ricchezza della spiritualità di comunione. Ho lasciato le mille attività di una delle opere più grandi dei salesiani a Roma, dove ero direttore, e ho mosso i miei primi passi nella spiritualità dell’unità con altri 14 religiosi di diverse congregazioni e di 10 nazionalità diverse.
Mi sentivo un novizio che imparava a vivere la giornata mettendo l’amore reciproco prima di qualsiasi altra cosa. Prima del lavoro, prima della meditazione, prima della cucina… cercavamo di verificare quanto vivevamo il testamento di Gesù: “Che tutti siano cosa sola” (cf. Gv 17, 21).
Uno dei momenti più belli della giornata era la comunione delle esperienze sulla Parola. Un giorno, per esempio, durante la meditazione avevamo scelto come Parola di vita: “Se il fratello ti chiede di fare un miglio, tu fanne due con lui”. Come tutte le mattine mi recai poi con il pullmino al magazzino dell’Azur, una delle aziende presenti nella cittadella di Loppiano, mentre mi ripetevo mentalmente la parola appena meditata. Appena arrivo, mi si offre subito la possibilità di metterla in pratica. Un giovane brasiliano, un po’ maldestro nei movimenti, mi chiede di lavorare con lui e di insegnargli ad usare il carrello elevatore per caricare i TIR. Nessuno ci aveva mai provato a collaborare con lui, visti i pericoli che si correvano.
Però la parola del Vangelo da vivere in quel giorno non mi dava scampo. L’unica possibilità che avevo era quella di lavorare e insegnare al maldestro giovane come utilizzare lo strumento da carico. A fine giornata mi ritrovai particolarmente stanco e sudato. Ero stato anche travolto dalle parolacce degli autisti che si lamentavano delle botte che prendeva il camion nel caricare i mobili, ma ero particolarmente contento di esser riuscito a farmi un amico in più.
Tornando a casa mi ritornò in mente un episodio del mio fondatore, Giovanni Bosco. Un giorno era entrato dal barbiere per farsi la barba. Il padrone era occupato da un altro cliente e don Bosco, vedendo il giovane apprendista disoccupato, gli chiese di fargli la barba. “Ma don Bosco, non l’ha mai fatto”, disse il padrone. “Se mai inizia , mai imparerà”, replicò don Bosco. Con mano tremante il giovane apprendista fece la barba al suo primo cliente. Don Bosco uscì dalla barberia con il volto tutto insanguinato, ma con un amico in più.
Alla sera raccontando l’esperienza sulla Parola di vita ai religiosi della Claritas, mi resi conto che quando vivo con fedeltà la parola del Vangelo, vivo anche il carisma del mio fondatore.
Lavare i piedi
La Claritas mi ha lasciato un segno indelebile: come religioso e salesiano sono chiamato a portare questo ideale della santità collettiva in tutte le realtà dove Dio mi chiama a vivere.
Il mio primo impegno, come formatore di giovani salesiani e come superiore della comunità, è assicurare che ci sia sempre un alto livello di comunione, attraverso l’amore scambievole che circola fra di noi. È ormai prassi che l’equipe dei formatori si incontri settimanalmente per crescere nella vita di comunione. Siamo tutti convinti che la formazione è sana se assicuriamo la presenza tra noi del Formatore per eccellenza: Gesù.
Nel progetto formativo della nostra comunità di San Tarcisio abbiamo inserito il ritmo settimanale della Parola, secondo la liturgia domenicale. Il giovedì ascoltiamo e meditiamo il Vangelo della domenica secondo il metodo della lectio, nei giorni seguenti cerchiamo di metterla in pratica, la domenica la celebriamo nelle comunità cristiane e il martedì sera condividiamo le esperienze vissute.
Una volta ho raccontato come avevo cercato di vivere il Vangelo con un confratello anziano della nostra comunità, ammalato da tantissimi anni di sindrome depressiva. Credendo fermamente che nulla è impossibile a Dio, mi son messo a pregare per cercare di convincerlo a farsi lavare, visto che erano ormai mesi che non toccava l’acqua ed emanava cattivo odore in tutta la casa. Come per incanto ho trovato in lui una disponibilità e una docilità inaspettate. Mi sono subito messo all’opera e in tre ore siamo riusciti a metterlo a nuovo.
Un giovane salesiano, allora, ci ha confidato che, avendo sbirciato dalla porta ed essendo rimasto meravigliato vedendo il direttore inginocchiato a lavare i piedi del confratello, era corso subito in cappella ed aveva aperto il vangelo di Giovanni al capitolo 13: rileggendo la lavanda dei piedi, aveva promesso a Gesù di vivere così la sua consacrazione.
Sono arrivato al terzo anno di esperienza nella formazione e ho imparato insieme ai giovani che tutte le parole del Vangelo si sintetizzano nella carità. È il primato della carità che ci aiuta ad accompagnare i giovani religiosi secondo questo grande Ideale.
Solo per questo motivo e rompendo tutti gli schemi formativi, è stato possibile accogliere in comunità un nostro confratello con seri problemi di dipendenza dall’alcool. Abbiamo tolto il vino da tavola e in ogni angolo della casa. Con grande generosità i giovani si sono stretti attorno a lui, alternandosi come “angeli custodi”. In una sua lettera, scritta alla comunità prima della pausa estiva, ci ringraziava perché si era sentito accolto, amato e non giudicato. Dopo aver terminato il periodo di disintossicazione ha chiesto al superiore di poter rimanere nella nostra comunità, perché… è arrivato il tempo di ricambiare l’amore ricevuto.