Un altro terremoto in Nepal: questa volta politico
Dopo il terremoto che, nei mesi scorsi, ha colpito la capitale Katmandu e varie parti del Paese, il Nepal sta attraversando una delicata fase politica e sociale che rischia di scuotere il Paese con conseguenze sismiche non meno gravi di quelle che hanno devastato le città e i villaggi.
Si tratta di scontri fra manifestanti, che protestano contro la proposta di una nuova Costituzione, e la polizia. Il bilancio di questi ultimi giorni è di quattro morti, ma le conseguenze sociali sono gravi perché sta crescendo la tensione in un Paese che da anni attraversa fasi politiche alterne, che in passato hanno portato alla crisi della monarchia e a una guerriglia lunga e sanguinosa da parte dei maoisti. Il problema attuale è rappresentato dall’accusa, da parte di alcune minoranze etniche, di essere state ignorate o, comunque, discriminate dalla bozza della nuova Costituzione, approvata circa due mesi fa dopo anni di discussioni e disaccordi fra vari gruppi e fazioni. Da quando la carta è stata presentata, ha suscitato diverse critiche da parte dei gruppi che si sono definiti esclusi e che hanno creato contestazioni anche violente.
Al centro del problema si trova la comunità madhese, che raccoglie un insieme di etnie di origine indiana che popolano la regione del Terai, nel distretto meridionale di Morang. Come forma di protesta per le decisioni dell’amministrazione centrale il partito Sadbhawana (Nsp), che rappresenta gli interessi e le istanze di questo gruppo etnico, ha deciso di abbandonare l’Assemblea costituente, mentre 17 distretti della parte occidentale dello stato himalayano sono rimasti bloccati per dieci giorni a causa di scioperi e manifestazioni. Queste comunità lamentano di essere state ignorate nella suddivisione amministrativa contenuta nella nuova Costituzione, che prevede che il territorio del Paese sia ridisegnato in sei provincie che, secondo le minoranze, non tengono conto a sufficienza dei gruppi minoritari. A fronte di tale reclamo, il governo di Kathmandu accusa gli stessi gruppi di aver provocato gli scontri tra minoranze etniche. La polizia ha affermato di essere intervenuta solo per autodifesa dopo che i manifestanti avevano attaccato le forze dell’ordine.
«Abbiamo aperto il fuoco per contenere la situazione che stava diventando sempre più incandescente», ha riferito l’agente Narayan Prasad Chimoriya. Anche Bamdev Gautam, vice primo ministro del Nepal e ministro dell’Interno, smentisce il ricorso alla violenza gratuita da parte dei funzionari di governo e accusa i gruppi di minoranza di fomentare le proteste. «Il governo lancia un appello a tutti i cittadini – dice – affinché non si lascino provocare dalla comunità madhese e da altri gruppi minoritari che provano a ostacolare il processo di approvazione della Costituzione».
La questione della nuova Costituzione rischia di paralizzare il Paese che sta faticosamente riprendendosi dalle conseguenze devastanti del sisma che lo ha scosso nella scorsa primavera. In tale contesto, si è levata la voce dei giovani cristiani che, pur rappresentando una minuscola minoranza in un Paese quasi interamente indù, rivendicano la necessità di concentrarsi piuttosto sullo sviluppo del Paese. I giovani lamentano una discussione pubblica troppo concentrata su argomenti da considerarsi già risolti, come la connotazione laica dello Stato, e poco sui problemi reali del Nepal.
Un giovane cristiano, intervistato dall’agenzia di stampa AsiaNews, ha dichiarato che la maggioranza dei giovani cristiani è indipendente dal punto di vista economico ed è impegnata in attività produttive per rilanciare il Paese. Egli si rivolge poi ai suoi coetanei: «Io chiedo a tutti i giovani, fedeli di religione indù, musulmana, buddista o di altre confessioni, di unirsi insieme a noi nel lavoro, piuttosto che protestare. Noi possiamo mostrare loro il modo in cui operiamo. Le sole parole non portano a nulla. Solo quando hai lo stomaco pieno e hai la salute nel corpo e nella mente, puoi dare un contributo per il benessere del Paese».
Kishor Shrestha, ex presidente locale dell’International movement for catholic students (Imcs), spiega al giornalista dell’agenzia di stampa cattolica: «I giovani cattolici ritengono che la laicità dello stato sia la soluzione più democratica, sia dal punto di vista teorico che pratico. Ma perdere tempo in discussioni sulle alternative al laicità sarebbe come ‘rimpiangere il treno perduto’. Il Paese soffre a causa della povertà e della disoccupazione. Milioni di giovani sono andati a lavorare all’estero. Politici ed esperti dovrebbero confrontarsi su come risollevare il Paese e rendere effettivo lo sviluppo… Grazie al sistema laico siamo tutti liberi di professare la propria fede. Non esiste altra alternativa. Ora dobbiamo unirci tutti insieme e lavorare per la prosperità delle persone e della nazione».