Un affronto al mondo intero
«Un affronto alla Francia e al Belgio»: così Mathieu Guidère, islamologo ed esperto del mondo arabo e musulmano intervistato dal quotidiano francese Le Figaro, commenta l'attacco terroristico di ieri a Bruxelles. Nella sua lunga analisi, Guidère si sofferma tra le altre cose sulla volontà di colpire economicamente il Paese – «si sa che un attentato può costare dallo 0,1 allo 0,3 per cento del Pil» – e sulla volontà di mandare un messaggio all'Europa rispondendo agli attacchi in Siria, sottolineando come «la soluzione è prima politica che militare: certamente bisogna rispondere alla minaccia terroristica, ma rimarrà un lavoro inutile senza una soluzione diplomatica parallela».
A colpire il lettore italiano è però soprattutto la sua considerazione secondo cui il “Bruxellistan” – le zone ghetto in cui gli immigrati si trovano confinati – «certamente sparirà ma rinascerà altrove, forse nel Sud dell'Italia, punto di passaggio degli immigrati dalla Libia, dove lo Stato Islamico guadagna terreno»: sulle testate francesi sembra infatti in buona parte prevalere un – forse comprensibile, dopo i fatti di novembre – allarmismo, con titoli come "Daesh colpisce ovunque" e "Da 15 anni Molenbeek nutre la jihad".
Il tedesco Der Spiegel titola "Attacco al cuore dell'Europa"; dà spazio all'intervento di Angela Merkel, che ha condannato i terroristi come «nemici dei nostri valori» e vede come una delle conseguenze più pesanti soprattutto a livello sociale il «senso di sicurezza che è stato colpito» anche al di là dei confini del Belgio, dato che tutta Europa si interroga sui possibili futuri sviluppi di questa ondata di violenza. Del resto, ha affermato il presidente della Repubblica Joachim Gauck, «Siamo accanto al Belgio»: di qui la «paura di essere i prossimi», come diversi commentatori affermano.
Lo spagnolo El Paìs, tra i tanti articoli, ne dedica uno a chiedersi "Perché il Belgio è diventato obiettivo dei terroristi?". Un Paese definito come «quello che ha più jihadisti in tutta l'Unione europea», che «appena due anni fa viveva quasi estraneo alle misure di sicurezza comuni in altri Stati» ed ora «è diventato uno dei principali scenari del terrorismo in Europa». La radice del problema è individuata nei nuclei radicalizzati presenti nelle città – non solo a Bruxelles, dato che anche ad Anversa erano stati effettuati degli arresti – balzati agli onori delle cronache dopo il 13 novembre parigino che ha portato gli inquirenti dritti a Molenbeek; e «il paradosso, nonché motivo di allarme, è che gli attacchi hanno colpito proprio le zone più vigilate della capitale belga». Pertanto, conclude, «le autorità belghe avranno difficoltà a togliersi di dosso lo stigma che le perseguita dai tempi degli attacchi di Parigi: che la capitale sia la culla del jihadismo».
Gli attacchi di Bruxelles campeggiano in testa alle pagine web dei quotidiani anche oltreoceano, con relative analisi. Quella del New York Times afferma che «gli attacchi di Bruxelles sottolineano la vulnerabilità di una società aperta a livello europeo» in cui «le cellule terroristiche hanno potuto crescere e prosperare». La domanda, secondo la testata newyorkese, è se «i servizi di sicurezza europei debbano raddoppiare i loro sforzi, anche al prezzo di ridurre le libertà civili, o se questi attacchi siano una parte inevitabile di una società europea aperta», in cui diventa evidente la «vulnerabilità dell'Europa al terrorismo in un'epoca di viaggi e comunicazioni sempre più facili e militanza crescente». L'articolo, a firma di Adam Nossiter, non risparmia critiche al Belgio, definito «il più ricco failed State (stato fallito, senza un governo) del mondo, con una preoccupante mescolanza di reti terroristiche radicate e un governo indebolito dalle divisioni tra fiamminghi e valloni».
Ma quali sono in questi frangenti i sentimenti dei belgi? Ad esprimerlo in maniera particolarmente pregnante è l'editoriale di Le Soir: «È soprattutto la tristezza ad essere infinita. È la sola parola che esce dalle labbra, le “nostre” labbra, perché ecco, è questo che è accaduto: è a casa nostra questa “cosa”. I “nostri” primi attentati suicidi, i corpi a terra nel “nostro” aeroporto, dei brandelli di carne fuori della “nostra” metro. La stazione di Maelbeek, un altro di quei nomi che i giornalisti stranieri impareranno a pronunciare. […] La tristezza, vi dicevo. Infinita». Che però non ha impedito ai giovani, come testimonia la foto a tutta pagina dell'edizione cartacea, di recarsi in Piazza della Borsa non appena i trasporti sono ripresi ieri nel tardo pomeriggio, per testimoniare la loro voglia di resistere alla paura.