Un 25 aprile di tutti
Come celebrare il 25 aprile, evitando la retorica e i luoghi comuni? Anzitutto riepiloghiamo un po’ la storia, il che non è mai sbagliato, anzi. Settanta anni fa, il 25 aprile 1945, via radio, alle 8 di mattina, il Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia proclamava l’insurrezione di tutti i territori ancora occupati dai tedeschi e dai fascisti della Repubblica di Salò, riuscendo a ottenere la loro resa nel giro di pochi giorni, prima dell’arrivo delle forze alleate.
Contemporaneamente il Clnai promulgava i primi decreti politici e assumeva ufficialmente il potere “in nome del popolo italiano e quale delegato del governo”, guidato allora dal generale Badoglio.
È incontrovertibile, quindi, che la data di cui ricordiamo quest’anno il 70° anniversario segni storicamente tre momenti fondamentali della nostra storia novecentesca: la fine reale della seconda guerra mondiale e il ritorno della pace, la liberazione (appunto) di tutta l’Italia dall’occupazione tedesca e, infine, la sconfitta e il crollo definitivo del regime fascista, con la conseguente riconquista della libertà politica e di tutte le libertà senza aggettivi.
Gli altri due eventi più importanti e decisivi della nostra vicenda politica, civile e istituzionale (l’avvento della Repubblica e la stesura e il varo della nuova Costituzione) sarebbero seguiti nel biennio successivo, tra il 1946 e il ’47. Ma è chiaro che il primo vero inizio dell’Italia odierna, quella dove tutti oggi viviamo, si è avuto in quel giorno fatidico.
E questa consapevolezza scaturì molto presto, tanto è vero che su proposta del presidente del consiglio Alcide De Gasperi il principe Umberto, luogotenente allora del Regno d’Italia, istituì all’indomani della fine della guerra la festa del 25 aprile per il 1946, «a celebrazione della totale liberazione del territorio italiano». Dopo di che la ricorrenza è stata celebrata pure negli anni seguenti, fino a diventare ufficialmente festa nazionale dal 1949.
È bello, giusto e doveroso ricordare quindi il 25 aprile, e specialmente oggi a 70 anni di distanza. A condizione, però, che lo si faccia non solo senza enfasi e senza frasi roboanti, ma anche con uno spirito unitario, non ideologico, non fazioso, veramente nazionale e popolare. La lotta di liberazione vide l’impegno e la partecipazione di tutti, cattolici e non credenti, sacerdoti e laici, uomini e donne, giovani e adulti, civili e militari, persone di ogni credo politico e ceto sociale.
Per costruire tutti insieme, fatte salve le opinioni di ciascuno, un Paese libero, democratico, moderno e all’altezza della sua storia e delle sue tradizioni. È con questo spirito, nella coscienza di una comune identità nazionale, che la festa della nostra liberazione dalle sofferenze della guerra e dal nazifascismo va celebrata.
Ma non basta. La condanna della retorica esige anche una forte dose di autocritica, soprattutto da parte dei politici e dei rappresentanti delle istituzioni a tutti i livelli. Non pochi ideali della Resistenza e della guerra di liberazione non solo non si sono realizzati ma sono stati traditi. Scandali, corruzione, ingiustizie sociali, esosità fiscale, privilegi di casta, promesse e impegni non mantenuti, incuria e degrado dei nostri beni ambientali e culturali sono solo alcune delle piaghe italiane odierne.
E stanno esattamente agli antipodi dei valori di giustizia, libertà, verità, solidarietà e rettitudine che hanno spinto la generazione della Resistenza alla lotta e alla vittoria. Oggi, 70 anni dopo, bisogna riconoscere che nella realizzazione degli ideali del 25 aprile, specialmente come Paese legale, come classe politica, siamo ancora molto lontani.