Un Romeo e Giulietta hi-tech per Aterballetto
Teatro sempre pieno al Piccolo di Milano per l’Aterballetto che da tre settimane si è insediato al teatro Strehler con una rassegna che, oltre al dittico Absolutely free e H+, alla Serata Stravinsky e ad una nuova creazione in prima assoluta, ha riproposto uno dei titoli di maggior successo della compagnia emiliana firmato dal coreografo Mauro Bigonzetti: Romeo and Juliet.
«Viaggiare a folle velocità senza però un airbag in grado di proteggere l'anima». Così Bigonzetti spiega la sua rilettura in chiave contemporanea della celebre storia d’amore. Un balletto astratto per parlare di amore e di morte. Di passione violenta e di forza dei sentimenti. Di presa di coscienza del vortice mortale della vita nell'angosciante accelerazione del tempo. Nella storia dei due giovani amanti shakespeariani non c'è nessun filo narrativo, o illustrativo. Scomparse le famiglie dei Montecchi e dei Capuleti; eliminati i personaggi chiave di Mercuzio e Tebaldo, rimangono solamente loro, Romeo e Giulietta, ma moltiplicati in più coppie. Due giovani incoscienti animati dalla sola vitalità dei sensi. Ed è una passione forte, scardinante, furiosa, priva di protezione. Temi che, tradotti scenicamente dall'artista visivo Fabrizio Plessi, che firma anche i costumi, sono diventati elementi portanti dello spettacolo. Materiali tecnologici, video e design hi-tech, che riproducono quegli elementi cari alla sua poetica quali l'acqua, il fuoco e il vento, che ci immergono dentro un'ambientazione fortemente evocativa.
Sulla celebre partitura di Prokofiev, la vicenda degli innamorati scorre a ritroso come in un flashback, per concludersi con il loro incontro iniziale. Solo, in semioscurità, e con un piede imprigionato dentro una sfera nera simile a un casco da motociclista dal cui vincolo vorrebbe liberarsi, un danzatore si muove oscillando indifeso cercando equilibri precari. Un prologo che dice subito l'impossibilità di fuggire dal destino designato. Il riverbero luminoso s'apre poi su una fila di letti-catafalchi di metallo – tavole d'anatomia dei sentimenti o da obitorio – sui quali s'agitano come anime in pena le coppie di danzatori nel disperato e impossibile tentativo di tendersi l'un l'altro la mano per toccarsi.
La morte è così posta all'inizio come ribaltamento della struttura drammaturgica classica, per dare libertà al coreografo di affrontare le cause che l'hanno generata collegandole alle esistenze odierne. La bruciante passione arde nelle fiamme dei monitor al capezzale delle coppie, e volerà nel soffio turbinoso della gigantesca ventola dove un'altra coppia si rincorrerà all'interno compiendo acrobatiche evoluzioni a testa in giù ribaltando le prospettive, e spazzando via ogni scoria. E non servirà, a questi moderni centauri dell'amore, indossare caschi, tute imbottite, guanti e ginocchiere in fibre di carbonio, per proteggersi dall'urto violento della furia amoris, né attutire lo scontro con una danza di cuscini.
Fra prese energiche, corse velocissime, salti vertiginosi; i venti danzatori della compagnia si avvicendano sulla scena per lasciare infine posto a una sola coppia che, inerpicandosi su due altissimi monoliti, sulla cui facciata scorre una virtuale cascata d'acqua, tenteranno lassù in cima di unirsi, mentre lo sfondo s'infiammerà di rosso. Un Eden dove finalmente ricongiungersi.
Al Piccolo di Milano, Teatro Strehler, con “Serata Stravinskj”, fino al 3 giugno.