Umanità, algoritmi, democrazia

È possibile una democrazia basata sugli algoritmi? Gli scenari di profilazione e controllo sociale. Le macchine che decidono chi curare e chi no...

Intorno alla democrazia si sta giocando una partita subdola e forse pericolosa, il tentativo, cioè, di sostituire l’uomo con l’algoritmo e l’intelligenza artificiale. Purtroppo non di fantascienza si tratta, ma di un processo lento e persistente, poco appariscente. Si sta facendo strada la pericolosa idea che, in fondo, è possibile fare a meno dell’uomo in politica in quanto inadeguato, inaffidabile, senza più contatto con la realtà e corruttibile.

Meglio, quindi, un surrogato tecnologico che non è affetto da questi problemi. «Come potrebbe un essere umano, con tutti i suoi limiti e le sue imperfezioni, competere con l’algida, imperturbabile perfezione decisionale di un presidente del Consiglio artificiale?», osserva Fabio Chiusi su L’espresso.

Messa così la situazione sembra persino allettante, specie per quanti immaginano una democrazia diretta, priva di forme di mediazione. In realtà, è una prospettiva piuttosto inquietante. La democrazia, più che di tecnologia ha necessità di rappresentare la complessità della società, le sue articolazioni e la politica, con i suoi limiti, non sempre vi riesce. Ragion per cui si cercano strade diverse. Per esempio, le assemblee cittadine. In Francia, in Germania, nel Regno Unito e nello stato di Washington sono state formate per dibattere i problemi sul clima.

«Sembra che i cittadini trovino più accettabile le decisioni prese da persone come loro», osserva Ariel Procaccia, docente di informatica alla Harvard University, esperto di algoritmi e intelligenza artificiale. «Queste assemblee – spiega su Le Scienze – sono selezionate per rispecchiare la popolazione, una proprietà che i teorici della politica chiamano rappresentanza descrittiva». Tuttavia, mettere insieme un’assemblea cittadina rappresentativa della società non è cosa da poco. Il ricorso all’algoritmo in questi casi può essere utile.

Di tutt’altra natura sono invece gli scenari che prospetta l’adozione dell’intelligenza artificiale (AI). Essa è in grado di analizzare grandi quantità di dati e ha capacità di apprendimento costante. «I sistemi di AI – spiega il francescano Paolo Benanti, esperto di etica delle tecnologie – sono capaci di adattarsi e adeguarsi alle mutevoli condizioni in cui operano, simulando ciò che farebbe una persona. In altri termini, oggi la macchina può spesso surrogare l’uomo nel prendere decisioni e nel compiere delle scelte».

Terreno di coltura privilegiato da cui trarre i dati sono, per l’AI, i social, le app, i motori di ricerca… «Il controllo dei dati personali raccolti a monte da noi utenti ansiosi di accedere ad app e social – osservano Gustavo Ghidini e Daniela Manca sul Corriere della sera – consente alle grandi piattaforme di ricavare profili individuali che servono, sì, per mirate offerte commerciali, ma che ben potrebbero servire anche a scopi più inquietanti: dal censimento e traffico di opinioni e comportamenti a scopo di influenza politica, sino alla schedatura di cittadini. Scopi, insomma, di controllo sociale che gli strumenti della intelligenza artificiale consentono di conseguire, grazie ad algoritmi di regola non trasparenti».

In questo scenario si può ancora parlare di democrazia? E l’AI può essere la strada da seguire? Lo scandalo della Cambridge Analityca, la raccolta, cioè, di dati personali di 87 milioni di account di Facebook senza consenso e il loro uso per scopi di propaganda politica pone interrogativi inquietanti.  «Che tipo di certezze – osserva Benanti – dovremmo avere per lasciare che sia la macchina a scegliere chi deve essere curato e come? In base a cosa dovremmo permettere a una macchina di designare chi di noi è degno di fiducia e chi no?».

«Possiamo davvero lasciar prendere decisioni da cui può dipendere la vita di una persona o di interi popoli a una intelligenza artificiale?», si domanda La Civiltà cattolica. Il nodo cruciale è il ruolo dell’essere umano all’interno dell’algoritmo.

La democrazia senza l’uomo non esiste, né può essere ridotta a ragioni di consenso e di numeri.  Per quanto imperfetta essa tiene insieme le persone in un processo di partecipazione collettiva, le carica di una responsabilità nei confronti dell’altro e della società nel suo complesso, accetta che l’interesse personale venga subordinato al bene comune.

La democrazia ha un dinamismo etico che difficilmente l’intelligenza artificiale può interpretare e discernere. «Abbiamo bisogno – sostiene ancora Paolo Benanti – di un algor-etica, ovvero di un modo che renda computabili le valutazioni di bene e di male».

Un passo auspicabile e necessario, ma che tuttavia difficilmente potrà competere con quel libero arbitrio che è il dato qualificante della dignità umana. In esso la democrazia trova i valori di fondo dell’agire sociale.

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