Ultraperiferie d’Europa
La settimana scorsa si sono viste nei telegiornali immagini di varie proteste in Europa contro le restrizioni che i governi vorrebbero riattivare per mettere un freno alla nuova avanzata della pandemia. Si avvicinano le feste natalizie e si teme che l’aumento dei contagi porti al collasso gli ospedali e i morti aumentino. Fra queste proteste, ci sono anche state quelle delle isole di Guadalupe e Martinica, nei Caraibi, che sono territorio francese. Stando a quanto i media più seri hanno poi pubblicato, i disordini erano in atto da diversi giorni e sono venuti alla ribalta solo quando i manifestanti “hanno fatto ricorso ad armi da fuoco, saccheggiando farmacie e altre attività commerciali”. È particolarmente scioccante sentire questa lamentela: «Abbiamo l’impressione di essere lo spreco del territorio metropolitano, siamo stufi di tante imposizioni». Diversi analisti hanno visto in queste affermazioni il nocciolo delle proteste, più che per le restrizioni imposte da Parigi.
Guadalupe e Martinica sono Regioni ultraperiferiche dell’Unione Europea. L’elenco si completa con altri territori francesi (l’isola di Saint-Martin, anche nei Caraibi; la Guyana francese, fra Suriname e Brasile; e le isole di Réunion e di Mayotte, accanto al Madagascar), insieme alle isole Canarie (Spagna), le Azzorre e Madeira (Portogallo) nell’Atlantico. Ci sono altri domini della Francia nel Pacifico e nell’Atlantico, chiamate collectivités d’outre-mer, che però non hanno la qualifica di regioni ultraperiferiche. Tutti posti, comunque, che richiamano l’idea paradisi naturali per vacanze da sogno. Ed è vero. Tranne quando trovano spazio nei titoli dei giornali per una tragedia o, come questa volta, per gravi disordini.
Le Regioni ultraperiferiche (Rup) godono di una considerazione particolare nella politica europea per il fatto di condividere una serie di limitazioni specifiche che danneggiano gravemente il loro sviluppo economico e sociale. Ecco perché esiste la Conferenza dei presidenti (https://cp-rup.com/es/conferencia-dos-presidentes) che dal 1993 e almeno una volta l’anno, raduna le autorità di queste nove regioni allo scopo di accordarsi per difendere i loro interessi comuni. Nonostante ciò, sembrerebbe che non tutti gli abitanti di queste isole e territori siano soddisfatti, o forse stanno dicendo che diversità non è sinonimo di disuguaglianza, oppure, come nel caso di Guadalupe, che le misure adottate nel territorio metropolitano non sono applicabili in tutte le periferie.
Non è questo l’unico episodio che mette in luce il conflitto tra centro e periferia (o sarebbe meglio dire centri e periferie) nella breve storia dell’Unione europea. Basta pensare ai venti d’indipendenza che ogni tanto soffiano qua e là. E non solo: la pandemia ha avuto l’effetto di approfondire il divario già esistente di certe disuguaglianze che esigono un approccio più giusto.
È di questi giorni, inoltre, il primo incontro tra i presidenti (di diverso colore politico) delle regioni della Spagna meno popolate. Sono otto comunità autonome e rappresentano il 62% del territorio nazionale, ma solo il 24% della popolazione. Tra le loro proposte in tema finanziario, e non si tratta di rivendicazioni, quella di considerare fattori quali superficie, dispersione, bassa densità, orografia, bassa natalità, invecchiamento della popolazione come “condizioni innegabili di un maggior costo nella prestazione dei servizi”. Anche qui, diversità e disuguaglianze sono cose distinte, che non coincidono.