Ultimo film di Hayao Miyazaki: tra ricordi e politica
Dal primo giorno del 2024 anche in Italia è stato trasmesso nelle sale l’ultimo lungometraggio del famoso regista Hayao Miyazaki. Nel 1985 fondò lo Studio Ghibli, ad oggi il produttore cinematografico di animazione tra i più importanti al mondo dopo la Walt Disney. Il titolo dell’ultimo capolavoro è “Il ragazzo e l’airone”. La storia narra di Mahito, un giovane che vive in una Tokyo del 1943, in piena Guerra del Pacifico. Dopo la morte della mamma, il padre si sposa con la sorella minore di lei e si trasferisce in un’antica tenuta di campagna appartenuta alla loro famiglia da generazioni. Come in “La casa incantata”, anche questa magione nasconde molti segreti. Ecco che un’antica torre che custodiva un’immensa biblioteca attira l’attenzione del giovane. Forse non è abbandonata come sembra… Una storia che richiama in alcuni tratti la giovinezza del regista.
Come in tanti altri film di Miyazaki tornano le numerose metafore, la forte simbologia, le tradizioni giapponesi e il richiamo al secondo conflitto mondiale, pagina di storia che ha segnato a fondo il Giappone. Ecco che tornano gli aeroplani, questa volta attraverso il padre di Mahito, ingegnere aeronautico come lo era Katsuji Miyazaki, padre del regista. Le animazioni, sempre più moderne e definite, non abbandonano comunque lo stile dei primi film dello Studio Ghibli. Rimangono i tipi di personaggi abbastanza disturbanti -come l’airone celerino– e quelli invece pronti a destare la tenerezza del pubblico -i “wara wara”, esserini bianchi, buffi e fragili, come il vecchio Totoro-. Ancora una volta i bambini sono i protagonisti, attraverso la figura di Mahito. Eppure, il giovane ha una particolarità.
Ecco, quindi, le prime differenze con i film precedenti: Mahito non viene mostrato solo nell’innocenza della sua giovane età, ma in maniera molto più realistica e lucida, con un lato di cattiveria che ne diventa la fragilità, ma anche con la capacità di provare rimorso e di ambire al perdono. Un giovane umano, a tutti gli effetti. Tuttavia, la vera malvagità è diversa, lo mostra con chiarezza Miyazaki in altri personaggi del film, lanciando però un messaggio di notevole impatto e profondità: nessuno è, mai, solo cattivo.
Altri mondi, magici ma tremendamente reali, quelli dello Studio Ghibli. Mondi che sembrano un al di là, non si comprende bene. Il confine è sottile ma la simbologia è forte, come la scritta “Facemi la divina potestate” (Terzo canto della Divina Commedia, Inferno) presente nel film, incisa nella pietra. Paragona l’ingresso nella torre misteriosa di Mahito all’ingresso di Dante nella selva oscura. E si sa quanto i creatori di altri mondi immaginari abbiano Alighieri come uno dei maggiori ispiratori, come lo fu a suo tempo anche per J.R.R. Tolkien. Il richiamo all’al di là si fonde con la figura dell’airone celerino del folklore giapponese, che lo vede come messaggero in viaggi ultraterreni. Una sorta di Virgilio.
C’è una forte potenza visiva per un film profondamente politico. Una critica convinta alle dittature, ai “re parrocchetto” del mondo e ai vecchi saggi con tratti divini che cercano di tenere in piedi un creato in bilico. L’immagine del film è quella di un intero universo che si sintetizza in una pila di costruzioni, come quelle dei bambini. Tutte diverse, una sull’altra, pericolanti, e il vecchio prozio di Mahito che giorno dopo giorno aggiunge una costruzione alla pila, una sfera, una piramide, o un cubo che sia, cercando di non far crollare il tutto. L’anziano fa capire al bambino che, per quanto la torre sia pericolante, è sempre in equilibrio.
Un equilibrio precario, è vero, ma che fa la differenza con il nulla. È però basilare che i mattoncini che costituiscono questa torre abbiano qualcosa di buono alle fondamenta. Se sono malvagi, il rischio è che non si riesca ad aggiustare la torre, a stabilizzarla nella sua evoluzione. Crollerà su se stessa come il mondo che rappresenta. Anche questa volta si potrebbe affermare senza molti dubbi che il nuovo capolavoro di Hayao Miyazaki e dello Studio Ghibli, “Il ragazzo e l’airone”, non sia solo un cartone animato.
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