Ultime notizie dai monti Nuba
Continua l'emergenza nel Kordofan: lo conferma una recente lettera di mons. Max, vescovo di El Obeid che chiede aiuto per il suo popolo
Sono arrivati in ritardo e pure piuttosto amari, ma sono arrivati: il vescovo di El Obeid, mons. Macram Max Gassis, intervistato da "Città Nuova" lo scorso novembre a proposito della guerra civile sui monti Nuba, ha inviato alla redazione gli auguri di buon Natale e di felice 2012. Ma sono degli auguri che suonano come un disperato grido di aiuto: mons. Max riferisce infatti che «l'eliminazione dei nostri anziani, lo stupro delle ragazze e delle donne è diventato all'ordine del giorno», mentre continuano i bombardamenti che «impediscono di coltivare i campi, unica sorgente del vivere quotidiano».
Nemmeno la fuga garantisce la salvezza: «Molti nubani hanno preso asilo nel Sud Sudan – prosegue –, ma anche là sono inseguiti e bombardati». Si stima siano circa 100 mila ad aver lasciato l'area, tanto che «la città di Abyei è diventata uno spettro». Così, «mentre il mondo gioisce per il Natale, qui viviamo nel terrore, soffriamo la fame e siamo colpiti da malattie: la nostra causa non è una priorità per la comunità internazionale».
Max e la sua gente, tuttavia, non perdono la speranza: «Il sangue dei nostri fratelli e le lacrime delle nostre mamme e vedove non sono state invano: sono il prezioso prezzo della libertà, della giustizia e della pace. La nostra gente ha guadagnato la sua libertà e identità». Per questo, anche se «non abbiamo fissato noi il tempo della nostra liberazione, riponiamo la nostra fiducia nel Signore: è stato lui a darci la pazienza, la tenacia e la forza nella preghiera anche quando la nostra gente disperava». Questo Natale, il primo dopo l'indipendenza del Sud Sudan, si pone ad uno snodo cruciale della storia di questi popoli, divisi tra la gioia per il risultato raggiunto ed una pace che stenta ad arrivare. Per questo mons. Max conclude: «Signore, il mio gregge ed io ti invochiamo: salvaci, e rimani con noi durante tutto il 2012».
Max e la sua gente, tuttavia, non perdono la speranza: «Il sangue dei nostri fratelli e le lacrime delle nostre mamme e vedove non sono state invano: sono il prezioso prezzo della libertà, della giustizia e della pace. La nostra gente ha guadagnato la sua libertà e identità». Per questo, anche se «non abbiamo fissato noi il tempo della nostra liberazione, riponiamo la nostra fiducia nel Signore: è stato lui a darci la pazienza, la tenacia e la forza nella preghiera anche quando la nostra gente disperava». Questo Natale, il primo dopo l'indipendenza del Sud Sudan, si pone ad uno snodo cruciale della storia di questi popoli, divisi tra la gioia per il risultato raggiunto ed una pace che stenta ad arrivare. Per questo mons. Max conclude: «Signore, il mio gregge ed io ti invochiamo: salvaci, e rimani con noi durante tutto il 2012».