Ue e Italia: troviamo una soluzione?

Inutile andare allo scontro. Cerchiamo un percorso conforme alla nostra grandezza di Paese fondatore della Comunità europea. Una proposta

I politici italiani che hanno fondato la Comunità Europea realizzando l’evento storico più positivo del secolo passato, in quel momento ci hanno impegnati a rispettare regole comuni ai popoli che vi hanno aderito, al fine di ottenere diversi vantaggi, oltre a quello fondamentale della pace.

I nostri politici, sottoscrivendo quegli impegni, sperarono che in qualche modo essi ci inducessero ad assimilare i comportamenti più razionali e collaborativi delle democrazie europee del nord, malgrado gli ostacoli culturali di una parte considerevole della nostra gente, derivanti dal fatto che per secoli tante regioni italiane sono state occupate e governate da altri popoli.

Una speranza in questi anni trasformata in realtà solo in parte, viste le sacche di sotto sviluppo e povertà ancora esistenti: intanto altri paesi culturalmente meglio attrezzati hanno approfittato delle falle nelle regole europee sottoscritte, falle oggi evidenti, che essi vorrebbero evitare di chiudere.

Il governo italiano chiede con ragione cambiamenti nelle regole, ma lo fa in modo troppo aggressivo, non produttivo: questo mentre nella Commissione Europea, sotto la supponenza della ragionevolezza e dei numeri, vi è la consapevolezza che occorre trovare comunque un accordo col governo di uno dei tre grandi paesi fondatori della Comunità.

Una mediazione può essere trovata credendo che i governanti del nostro paese, al di là di ogni pregiudizio o evidenza, siano davvero spinti a realizzare il bene comune, che nel presente può significare sanare le sofferenze che hanno spinto i cittadini a votare i partiti oggi al governo.

In questa ottica si potrebbero mandare in pensione a 62 anni (invece che a 67) solo coloro che, disponendo dei 38 anni di contributi pensionistici, sono disoccupati ad una età a cui prima della legge Fornero si andava in pensione, evitando così di aggravare lo stato del costo delle pensioni e della rinuncia dei contributi dei moltissimi che hanno un lavoro e non hanno particolari difficoltà a continuare a lavorare.

Riguardo al reddito di cittadinanza, si potrebbe confermare il potenziamento dei centri per l’impiego per offrire un servizio migliore a chi cerca di lavoro, raccordandoli con le strutture private con funzioni simili, ed utilizzare i rimanenti pochi fondi stanziati per innalzare il valore minimo delle pensioni a 780 Euro, mantenendo l’attuale Reddito di Inclusione, magari applicato ad una sfera di casi più vasta.

Con parte delle risorse così risparmiate lo stato potrebbe assumere un notevole numero di giovani da utilizzare per affiancare gli impiegati statali prossimi alla pensione, favorendo l’innovazione dell’amministrazione pubblica.

Questi provvedimenti offrirebbero alla Comunità Europea la scusa per far pace col governo italiano, che potrebbe insistere, minacciando il veto sul bilancio dei prossimi anni, per la nomina di un ministro delle finanze europeo con fondi per investimenti nelle infrastrutture europee e per lo sviluppo dell’Africa.

Soluzioni difficili? Ma quale è l’alternativa possibile?

 

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