Ucraina, uno spiraglio di luce
Nel tempo di Pasqua, che prosegue oltre la domenica di Resurrezione, la liturgia continua a parlare di pace.
Ma in molte parti del mondo c’è invece la guerra, con una punta – per intensità e potenza di fuoco – in Ucraina. Dove continua sui due lati l’inutile quotidiano sacrificio di giovani vite inviate più o meno forzatamente al fronte, e così l’uccisione e il ferimento di civili, l’esodo di milioni di rifugiati, la distruzione di un patrimonio di abitazioni ed infrastrutture nelle città ucraine, il collocamento di milioni di mine con il suo strascico di vittime (adulti e bambini), la devastazione e l’abbandono di fertili campagne in precedenza abitate e coltivate, innumerevoli forme di danneggiamento dell’ambiente, l’impiego di enormi quantità di risorse umane, naturali e finanziarie per produrre e mettere in azione armi che nel caso migliore sono un inutile spreco perché vanno a vuoto.
Uno stato di cose crudele e insensato, o, meglio, che risponde alla logica distruttiva del conflitto innescatosi. La consapevolezza di tanto dolore e tanta rovina brucia nella coscienza di tanti che, come me, hanno appoggiato l’invio di armi da Occidente in supporto allo sforzo ucraino di non cedere alla feroce prepotenza del Cremlino (che resta tale, anche se stuzzicata da comportamenti imprudenti da Ovest).
Ad acuire questo disagio interiore contribuiscono le critiche di chi, dalla ripugnanza per la guerra, deriva una riprovazione di ogni forma di sostegno alle attività belliche, e quindi anche dell’invio di armi agli ucraini, a cui andrebbe sostituita, invece, una trattativa.
Due, a mio avviso, i punti deboli di questa seconda posizione: una riluttanza a scendere dal piano delle affermazioni di principio e ad indicare quali territori e quali poteri, nella visione dei proponenti, l’Ucraina dovrebbe rassegnarsi a cedere alla Russia; e poi una sottovalutazione del fatto che se l’aggredito si trovasse a trattare ad arsenali vuoti con un aggressore che invece li ha pieni, difficilmente una proposta equa riuscirebbe a trasformarsi in accordo.
Non che non ci siano punti deboli anche nella prima (che è anche mia) posizione, quella del sostegno economico e militare all’Ucraina; tra questi l’allungamento del conflitto e il rischio di una trasformazione tacita dell’obiettivo, dalla difesa delle vittime alla punizione esemplare della Russia (da farsi con il sangue e la terra degli ucraini).
Un passo avanti mi è parso invece essere il piano di pace presentato su Avvenire del 5 aprile da Fabrizio Battistelli, presidente di Archivio Disarmo.
Il cuore della proposta è la rinuncia da parte russa ai territori conquistati nell’Est dell’Ucraina, ma attenuata da uno statuto di autonomia per il Donbass (e da una fascia smilitarizzata), mentre all’Ucraina si chiede la rinuncia alla Crimea, ad entrare nella Nato e ad ospitare armi nucleari, il tutto con garanzia Onu.
La proposta ha inevitabilmente vari aspetti critici, tra cui una poco praticabile promessa di ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea, cosa che oggi nessuno ha l’autorità per fare, date le ben note complessità delle procedure decisionali; e poi, chi riuscirebbe ad impedire davvero una ripresa strisciante delle ostilità nelle zone contese?
Ciononostante questo piano di pace, che viene da un versante certamente non guerrafondaio e che non ha il sapore di una resa all’aggressore, mi ha lasciato intravedere uno spiraglio di luce: per il dibattito in Occidente e – naturalmente in modo molto molto indiretto – per come si concluderà la tragica vicenda russo-ucraina.
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