Ucraina, tre mesi decisivi
La vicenda della penetrazione di squadre di nemici di Mosca in territorio russo nei pressi di Belgorod, la falla aperta da un’esplosione nella diga di Kakhovka, la guerra dei droni di ogni genere senza esclusioni di colpi, gli annunci ripetuti dell’inizio della controffensiva ucraina. Le ultime vicende della seconda guerra d’Ucraina (la prima era stata quella del 2014), sembrano indicare che forse si è aperta la fase finale del conflitto, o forse solo la fase finale del segmento di guerra iniziato nel febbraio 2022 con l’invasione russa di parte del territorio sovrano ucraino.
Indice primo dell’avvio di questa fase conclusiva è la grande opacità che copre questi eventi: chi ha fatto esplodere la diga di Kakhovka? Chi è penetrato in territorio russo e con quali armi? Quali Paesi stanno fornendo droni di diverse forme e dimensioni ai contendenti? Quando comincerà la controffensiva? Si dice che la guerra sia il regno della menzogna, ed è effettivamente vero che una delle più inquietanti espressioni della menzogna è proprio l’opacità.
Sia Putin che Zelensky hanno i loro recettori del sentire popolare, più o meno affidabili, più o meno capaci di svelare il sentire della pancia della gente. Ed entrambi non possono non percepire il progressivo indebolimento dei fronti nazionalistici rispettivi. I malumori per le inevitabili restrizioni e per le penurie provocate dalla guerra e la stanchezza per l’incertezza a 360 gradi che colpiscono quasi tutti gli ucraini e buona parte dei russi crescono rapidamente. I due capi di Stato non possono non tener conto di tali crescenti insofferenze, pena ne va del futuro del proprio Paese rispettivo, ma anche della personale avventura politica dei due.
Qualche giorno fa, in un contesto ecclesiale italiano, ho avuto la possibilità di constatare, con mia indubbia sorpresa, del mutare delle opinioni di una donna ucraina, da sempre sostenitrice della guerra di Zelensky, e di un uomo di Mosca, invece risolutamente putiniano: convenivano sulla necessità di mettere fine alle distruzioni e, soprattutto, alle sofferenze della gente innocente. È indubbio come tanti uomini e tante donne dei due Paesi stiano accorgendosi che la guerra provocherà, anzi ha già provocato solo sconfitti, e nessun vincitore.
Anche i rispettivi alleati danno segni di insofferenza per il perdurare degli eventi bellici. Da una parte si avverte l’appoggio a parole abbastanza deciso degli alleati bielorussi, caucasici e centrasiatici, senza parlare dei colossi cinese e indiano, da sempre scettici su questa guerra e sulle sue opportunità economiche, più che politiche. Ma nei fatti gli aiuti militari e logistici sono limitati: qualche tank e qualche camion nelle foto di prammatica, o poco più. Sull’altro fronte, si nota il crescere delle lamentele per la riduzione degli arsenali militari di difesa dei singoli Paesi europei, con il conseguente cambio di destinazione di non poche risorse pubbliche: da civili a militari, purtroppo.
Sul campo, la tanto annunciata riconquista ucraina non sembra ancora lanciata pienamente, anche se l’opacità che avvolge le operazioni militari nell’est impedisce di capire quel che realmente succede, oltretutto con il doppiogiochista Prigozhin e la sua Wagner che seminano dubbi un giorno sì e un giorno sì. Qualcosa comunque si muove, e nel giro di qualche settimana qualcosa dovrebbe capirsi sulla reale capacità delle truppe di Kyiv di scalzare dai loro scranni e dalle loro trincee non tanto le milizie mercenarie, quanto le truppe regolari russe.
In questo contesto la missione avviata dal Vaticano con il messo Zuppi pare più un modo per dire “se c’è bisogno ci siamo” che un reale tentativo di conciliazione, che d’altronde Kyiv rifiuta sperando nella riconquista, mentre Mosca inizia a non rifiutare la mediazione, fiutando forse il pericolo di un impantanamento militare.
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