Ucraina, tensioni senza fine
Non se ne parla più. Quattro anni fa Mosca annunciò l’annessione della penisola della Crimea, creando di fatto uno “Stato” riconosciuto solo da pochi intimi. Nel Donbass, la zona contesa tra russi e ucraini al Sud-Est del Paese, continuano le scaramucce tra i filorussi e l’esercito ucraino, senza che si sia mai giunti al rispetto degli accordi di pace sostenuti da Francia e Germania soprattutto. Ora un ulteriore episodio allarga il fossato tra Kiev e Mosca, forse non a caso mentre esplode a Londra la “guerra di spie” tra Mosca e Londra, sostenuta da tutti gli alleati europei e d’Oltreatlantico.
In effetti l’Ucraina ha annunciato, venerdì 16 marzo, che gli elettori russi non potranno accedere ai consolati russi per votare domenica 18 per le elezioni presidenziali. Il ministro degli Interni, Arsen Avakov, scrive che le forze di polizia, a guardia delle missioni diplomatiche russe in Ucraina (a Kiev, Kharkov, Odessa e Lviv), non permetteranno che i cittadini russi accedano ai seggi predisposti per votare. La decisione fa seguito allo svolgimento delle elezioni presidenziali in Crimea (definita da Kiev “illegale”), dove saranno aperti seggi un po’ ovunque, ma in particolare nelle città di Sebastopoli e Simferopol.
Mosca reagisce, ovviamente. Per il presidente della Commissione elettorale russa, Maya Grishina, «questa è una chiara violazione delle leggi internazionali, degli obblighi internazionali, ma è anche una violazione dei diritti umani dei nostri cittadini».
Certamente non sarebbero stati i risultati degli espatriati in Ucraina a cambiare il verdetto elettorale, con cui Vladimir Putin otterrà un quarto mandato che lo manterrà al potere fino al 2024. Il dossier ucraino sarà sul suo tavolo anche per il quarto mandato, perché pesano ancora non poco le sanzioni europee e statunitensi contro la Russia. Lo status quo nel Donbass rischia di perpetuarsi, senza che si arrivi veramente a una soluzione che permetta alla popolazione locale di respirare di nuovo e al diritto internazionale di rifarsi una qualche verginità.
Cinque anni e passa sono trascorsi dalla grande manifestazione nazionalista di piazza Maidan, a Kiev, che aveva portato alla cacciata del presidente filorusso Janukovic e all’elezione dell’antirusso Poroshenko. Poco alla volta si è capito che la rivolta non avrebbe avuto luogo nelle dimensioni registrate senza l’appoggio finanziario e logistico di forze estranee all’Ucraina. Ciò non giustifica l’intervento di Mosca, ma dice che l’innocenza nella questione ucraina non c’è da nessuna parte. Il realismo dovrebbe ora spingere a trovare un qualche accordo di pace, ma certamente la “competizione” elettorale per le presidenziali russe impedisce per il momento ogni avvicinamento tra Kiev e Mosca.