Ucraina, si avvicina il redde rationem
Che vi sia stata una lunga telefonata tra il presidente ucraino e l’omologo cinese è certamente quella che si definisce una buona notizia. Il cosiddetto piano di pace di Pechino − che in realtà non è ancora una proposta concreta ma la lista di una serie di presupposti per la trattativa (si ricorda che nella proposta è indicata l’intangibilità dei confini degli Stati) – è per il momento l’unica proposta con una qualche probabilità di successo. Gli Stati Uniti hanno bollato già da tempo come «altamente irrealistico» tale piano, ma non sono stati capaci di offrire un’alternativa. Dietro le quinte esistono altri piani di pace, come quello turco che sembra contenga alcune intuizioni provenienti anche dall’Italia, ma ancora nulla sembra diventare praticabile.
Che Zelensky e Xi si siano parlati non può che suggerire da una parte la chiara volontà di Pechino di evitare deflagrazioni incontrollate della questione ucraina, con inevitabili conseguenze sui mercati, dall’altra il bisogno che anche l’Ucraina ha di trovare una qualche via d’uscita al vicolo cieco nel quale la guerra sembra essersi incanalata. Anche se desta una qualche perplessità il fatto che, se da una parte in Europa Pechino gioca al pacificatore, dall’altra sullo scenario di Taiwan le manovre militari sempre più intense e precise, con grande sforzo mediatico su presunti nuove armi invincibili, dicono una volontà al contrario bellicista. È chiaro, le due situazioni non sono paragonabili completamente, ma qualche elemento comune ce l’hanno, eccome. A cominciare dalla pretesa che l’intervento esterno sia “liberatore” per popolazioni ritenute prigioniere dei loro governanti.
Sul terreno, sono ripresi i massicci lanci di missili russi verso l’Ucraina – ieri, purtroppo, si sono registrati più di trenta morti −, mentre la resistenza ucraina a Bakhmut prosegue, senza che vi sia stata ancora capitolazione. È vero che qua e là – soprattutto nel nord del fronte di battaglia − si scorgono segnali di una possibile reconquista ucraina, ma senza che vi sia una significativa avanzata delle truppe di Kyiv.
Kherson è ancora sulla linea di frizione, come ha testimoniato il ferimento di Corrado Zunino, giornalista di Repubblica, e la morte del suo autista, e così altre zone di frizione, in particolare Zaporizhzhia e la sua centrale nucleare, che è sempre al centro delle polemiche: questa settimana c’è la notizia che i russi avrebbero installato delle postazioni di artiglieria sui tetti dei reattori, peraltro notizie ancora da confermare.
La battaglia mediatica nel frattempo prosegue, così come prosegue la battaglia tra i produttori di armi, che continuano ad avere a disposizione uno straordinario (per loro) poligono di tiro, dove sperimentare le tante innovazioni tecnologiche permesse dal digitale. In particolare lo sforzo dei produttori si concentra sui droni e sulle altre armi a conduzione da remoto, non esclusi dei robot-kamikaze. Ma gli osservatori più attenti hanno l’impressione che le due parti siano ora in modalità “eco”, cioè stiano risparmiando armi e proiettili, sintomo di una certa penuria di armi tradizionali che comincerebbe a limitare il costante sforzo bellico delle due parti.
Tutte queste notizie paiono accompagnare la stanchezza che colpisce sia le popolazioni russe che quelle ucraine. Se dalle parti di Kyiv la fatica è comprensibile, perché vivere costantemente sotto la pur remota possibilità di essere colpiti da un missile non rassicura nessuno, bisogna anche capire come i cittadini russi comincino a soffrire di varie penurie dovute all’embargo occidentale e alla diminuzione dei prezzi del gas sui mercati mondiali. In particolare, si registra una certa irritazione da parte dei moscoviti e dei russi a maggior reddito per le mancanze di tanti prodotti del lusso e dell’alta tecnologia.
Forse tutto ciò potrà prima o poi obbligare i contendenti a sedersi al tavolo delle trattative. Ma non prima dell’estate, comunque, perché i comandi militari vogliono giocarsi le ultime cartucce ancora in loro possesso.
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