Ucraina, ombelico del mondo
Anche se non ovunque la pressione sull’opinione pubblica è forte come in Europa – la rivolta in Myanmar ci aveva colpiti come italiani ed europei, ma molto meno di quanto non abbia provocato in Thailandia o in Malesia −, si può dire tranquillamente come oggi l’Ucraina sia diventata l’ombelico del mondo. Anche la Cina è entrata nel processo di negoziazione, con incontri ravvicinati e molteplici, anche passando per Roma. E di Ucraina si parla ovunque.
L’Australia stessa manda segnali di supporto alla Nato e agli statunitensi. Il Medio Oriente è assai presente, sia per i 40 mila miliziani siriani che si sono iscritti alle liste di arruolamento proposte dai russi − anche se nessuno di loro è ancora partito e anche se Assad è preoccupatissimo di un loro eventuale allontanamento che sguarnirebbe le posizioni del regime in Siria –, sia per il risorgere delle tensioni tra Usa e Arabia Saudita, sia per i colloqui coi ministri qatarioti ed emiratini del ministro degli Esteri ucraino e di altri politici europei.
L’Africa ovviamente ha altri problemi, è chiaro, ma al solito, quando scoppia un bubbone da qualche parte nel mondo, si teme un rallentamento dell’attenzione solidaristica del sistema delle Ong. L’America Latina attende per posizionarsi, ma soffre anch’essa per il rallentamento delle transazioni con la Russia, mentre il Venezuela sembra poter uscire dall’isolamento qualora cedesse parte del suo petrolio ai vecchi nemici e mentre la Colombia è alle prese con risultati elettorali che sembrano ricusare un ormai lunga tradizione conservatrice, con influenza anche sui rapporti coi vicini venezuelani.
Insomma, la crisi ucraina estende i suoi tentacoli lontano nel pianeta, persino in Antartide ci si riposiziona tra basi di ricerca dei singoli Paesi, e internazionali, mentre si discute pure sulla stazione orbitante russa, ma abitata anche da non-russi, che potrebbe essere usata come un proiettile da scagliare contro qualche Paese occidentale. E si parla meno, molto meno, del Covid, anche se sembra proprio che la pandemia non sia finita, seppure con risultati medici meno catastrofici.
Ovviamente è l’Europa a essere il teatro delle maggiori crisi di nervi della diplomazia, degli apparati militari, delle più strane ossessioni. Il problema è che, nella crisi di nervi della Russia, dell’Ucraina, della Nato, della Unione europea, dei Paesi scandinavi può scapparci l’errore umano, più o meno voluto, che potrebbe portare, ad esempio, a un incidente aereo tra i tanti aerei spia che viaggiano a ridosso dei confini ucraini, bielorussi e russi; potrebbe essere commesso un errore di mira di qualche chilometro appena, ed ecco che la Polonia o la Romania verrebbero colpite suscitando la reazione automatica della Nato e dell’Unione europea; potrebbero venir usate armi chimiche che porterebbero la solidarietà della Nato e dell’Ue all’Ucraina a essere sottoposte a pressioni più forti da parte delle opinioni pubbliche occidentali per un intervento più diretto nella guerra; potrebbe, Dio non voglia, scappare un moto di frustrazione dalle parti del Cremlino con un bottone premuto per emotività bellica, scatenando l’inferno nel pianeta intero.
Siamo a quasi tre settimane dall’inizio della guerra, l’avanzata russa è costante ma non ancora decisiva. Non c’è stata una guerra lampo, le perdite delle truppe di Mosca sono ingenti, le morti dei soldatini mandati al massacro senza cognizione di causa e dei generali che invece sanno benissimo quel che sta succedendo possono creare problemi nell’opinione pubblica russa, o nelle complesse reazioni interne al potere russo. È ormai una guerra non solo politica e militare, economica e digitale, ma anche una guerra di nervi, in cui gioca pesantemente l’aspetto più personale delle cose. Gli stessi capi politici delle parti in causa non debbono passare notti troppo tranquille, i farmaci faranno i loro effetti per calmare gli spiriti, ma creeranno nel contempo effetti collaterali con l’abbassamento della soglia del dolore e dell’inquietudine. Si spera, quindi, che le misure di controllo delle decisioni mantengano i loro effetti. Ma il timore di un colpo di testa cresce, o addirittura di colpi di testa a catena, con reazioni e controreazioni difficilmente controllabili.
La speranza viene dalla crescita della parte di popolazione – in tutti i quattro angoli del pianeta − che auspica a tutti i costi la pace. Ovunque nel mondo, anche in Russia, anche in Ucraina, anche nelle isole Fiji, dove c’è stata una manifestazione di pace. Il popolo della pace è il principale deterrente all’estensione del conflitto. Vedremo tra un mese o poco più gli effetti “definitivi” di questa guerra. E allora dovranno entrare in gioco le armate della pace, della riconciliazione, e se possibile del perdono. Ma quando?