Ucraina, oggetto del desiderio
In un periodo pandemico in cui persino le guerre “sonnecchiano” − anche se morti, feriti e profughi continuano a essere d’attualità – ritorna in primo piano un conflitto mai sopito da 7 anni, ma che ora sembra rischiare di deflagrare, anche perché Mosca ha accumulato alla frontiera non poche truppe, pronte a invadere in un batter d’occhio (così ritengono le autorità russe) l’Ucraina, un Paese che conosce una forte instabilità politica da ormai troppi anni. Lo scenario è sempre lo stesso: durante il regime sovietico vi furono massicce trasmigrazioni di russi verso le fertili campagne ucraine, al punto che poco meno della popolazione che attualmente vive nel territorio amministrato da Kiev è di origine russa. Se i governi ultimi ucraini si sono dichiarati sostanzialmente antirussi, ciò non toglie che gran parte della popolazione non cessi di sognare un futuro sotto le ali protettrici di Mosca. Mentre i governi di Kiev sognano al contrario un’affiliazione alla Nato, se non addirittura all’Unione europea.
Ma il problema non è solo ucraino. Il 17 dicembre si leggeva in un dispaccio Ansa che Mosca aveva offerto una via d’uscita agli occidentali, una sorta di punto di non ritorno: «Tutti gli Stati membri dell’organizzazione del Trattato nord-atlantico si impegnano ad astenersi da qualsiasi ulteriore allargamento della Nato, compresa l’adesione dell’Ucraina e di altri Stati. Le parti che sono Stati membri della Nato non condurranno alcuna attività militare sul territorio dell’Ucraina e di altri Stati dell’Europa dell’est, del Caucaso del sud e dell’Asia centrale». Sarebbero questi gli articoli 6 e 7 del trattato offerto dalla Russia alla Nato, pubblicato sul sito del ministero degli Esteri russo.
Perché Mosca propone una tale soluzione che appare solo un altolà alla Nato e alla Ue? Perché le forze interne filo-occidentali presenti in certi Paesi ex-sovietici non riescono a essere eliminate: in Georgia (si ricorderà la “guerretta” del 2008), come in Armenia, in Bielorussia come in Uzbekistan e Kirghizistan continuano ad agire gruppi e partiti che sognano di cambiare di “padrini politici”, che danno evidentemente un gran fastidio a Putin, che considera tutti questi territori, ancorché formalmente indipendenti, alleati di Mosca. Guai a entrare nel giardino che attornia la madre patria russa, tantopiù che di gente di etnia russa ce n’è in quantità in tutti questi Paesi, vecchia eredità staliniana.
In Ucraina, lo si ricorderà, le cose erano iniziate ad andare male (per Mosca) col governo della “rivoluzione arancione” della Tymošenko, che fu rintuzzato grazie alla chiusura dei rubinetti del gas da parte di Mosca, che fece morire di freddo non pochi ucraini. Ma c’è un problema ulteriore, lo sappiamo tutti, perché la Russia vive delle vendite del gas che detiene in misura massiccia nei suoi immensi giacimenti, non solo siberiani. Ora, la quasi totalità delle esportazioni di gas russo diretto all’Europa occidentale passano per l’Ucraina. Quindi Mosca vuole a tutti i costi controllare lo snodo ucraino delle proprie pipeline. Venne poi il governo di Viktor Yushenko, e poi vi fu la strage della Piazza Maidan, la guerra nel Donbass e la ri-annessione della Crimea.
In attesa che i due fornitori storici di gas all’Europa occidentale, Algeria e Russia, vengano integrati da altri Paesi, in particolare del Medio Oriente – sono stati trovati ad esempio ingenti banchi di gas nel tratto di Mediterraneo tra Israele, Libano, Siria e Cipro, con altri giacimenti dinanzi alle coste egiziane, e mentre Qatar ed Emirati realizzano nuove pipeline, che però dovrebbero passare per la regione siriana “occupata” da Mosca – le tensioni tra Mosca e l’Occidente fatalmente passeranno per l’Ucraina. Tanto più che Mosca ha enormi problemi economici e amministrativi (vedi la disastrosa gestione della pandemia da parte delle autorità sanitarie russe), che vengono risolti aprendo in modo “sapiente” i rubinetti del gas, in modo da influenzare e supportare la politica internazionale moscovita.
In questo contesto gli Stati Uniti non cessano di appoggiare coi loro servizi le rivolte antirusse nei Paesi del Caucaso, dell’Asia Centrale, dell’Ucraina e della Bielorussia. Ciò irrita enormemente Mosca ed è una spada di Damocle sulla testa della vita di un certo numero di Stati dalla democrazia fragile, fragilissima o inesistente. Le guerre imperiali non sono finite.