Ucraina, Biden invia le mine anti-uomo
Il presidente Usa, Joe Biden ha annunciato la fornitura all’Ucraina di mine antiuomo. Una decisione non solo pericolosa ma che contraddice le scelte dell’Ucraina, che ha firmato nel 1999 e poi ratificato nel 2005 la Convenzione per la messa al bando delle mine antiuomo, detta anche Trattato di Ottawa, del 1997. Un accordo per la proibizione dell’uso, stoccaggio, produzione, vendita di mine antiuomo e relativa distruzione.
Gli Stati Uniti, pur non avendo firmato la Convenzione così come Russia, Cina e India, nel 2014 (amministrazione Obama) avevano annunciato di volersi impegnare a non utilizzare questo tipo di armi e a distruggere il proprio arsenale, ma questa decisione era stata poi annullata nel 2020 dall’allora presidente, e ora presidente eletto, Donald Trump.
Nel luglio 2022, con Biden alla Casa Bianca, il governo degli Stati Uniti ha nuovamente annunciato la rinuncia all’utilizzo, alla produzione e all’acquisto di mine antiuomo, rispettando così ampiamente la convenzione di Ottawa, con l’eccezione della penisola coreana, dove ha mantenuto aperta la possibilità di usarle.
Ma ora Biden cambia idea e decide di inviare le mine antiuomo in Ucraina, pur se “non persistenti”, dotate cioè di una batteria che ne permette il funzionamento finché è carica. Poi, assicurano, diventerebbero inerti, anche se comunque con l’esplosivo all’interno. Mine che si aggiungono alle tantissime mine già ampiamente usate in Ucraina.
Il territorio del Paese è infatti già “infestato” di questi ordigni, probabilmente più di qualunque altro. Infatti sono 160mila i chilometri quadrati “contaminati” da mine antiuomo in Ucraina, più di un quarto dell’intero territorio nazionale.
Per questo il governo di Kiev ha chiesto una proroga di dieci anni all’obbligo di bonifica dei terreni minati e ha ottenuto l’estensione da parte dei Paesi aderenti alla Convenzione di Ottawa.
Lo riferisce il Ministero degli Esteri italiano nell’ultima Relazione al Parlamento “Sullo stato di attuazione della legge recante norme per la messa al mando delle mine antipersona”. L’articolo 5 della Convenzione prevede che ciascuno stato aderente si impegni a distruggere tutte le mine antiuomo presenti sul suo territorio “il più presto possibile e comunque entro dieci anni dall’entrata in vigore della Convenzione per tale Stato Parte”.
Kiev ha aderito alla Convenzione nel 2005 ma è inadempiente per quanto riguarda sia la distruzione delle proprie scorte di mine (articolo 4 della Convenzione) che la bonifica dei territori contaminati.
Su 164 Stati che ad oggi hanno aderito alla Convenzione, solo due non hanno distrutto tutto il proprio arsenale di mine, e sono Ucraina e Grecia, mentre 33 non hanno completato la bonifica: Afghanistan, Angola, Argentina, Bosnia–Erzegovina, Cambogia, Ciad, Colombia, Croazia, Cipro, Repubblica Democratica del Congo, Ecuador, Eritrea, Etiopia, Guinea-Bissau, Iraq, Mauritania, Niger, Nigeria, Oman, Palestina, Peru, Senegal, Serbia, Somalia, Sri Lanka, Sud Sudan, Sudan, Tajikistan, Tailandia, Turchia, Ucraina, Yemen e Zimbabwe.
Un elenco che comprende Paesi che hanno vissuto pesanti conflitti o che anche attualmente vivono in una condizione di forti tensioni. Come riferisce la Relazione, nel corso dell’ultima riunione degli Stati Parte, “il conflitto in Ucraina ha nuovamente rappresentato il punto su cui si sono registrate le più accese tensioni, soprattutto in relazione alle accuse di utilizzo di mine antipersona. Secondo Human Rights Watch, sia la Federazione Russa, che non è Parte della Convenzione, sia l’Ucraina, Stato Parte, avrebbero fatto ricorso a questo tipo di ordigni. L’Ucraina ha fermamente respinto tali accuse, ha imputato l’esclusività di questo utilizzo alla parte russa e reiterato l’invito ad avviare un processo investigativo: si è detta, in tal senso, pronta ad assicurare piena collaborazione”.
Il Ministero degli Esteri sottolinea come la Presidenza tedesca di turno abbia deciso “di non inserire alcun riferimento al presunto utilizzo di mine antipersona da parte ucraina nel rapporto finale”, decisone che “ha suscitato perplessità presso alcune delegazioni (Messico, Austria e Irlanda)”.
Anche perché si aggiunge alla “questione particolarmente controversa” della richiesta ucraina di estendere il termine della bonifica per un periodo di dieci anni. Una proroga non è vietata dalla Convenzione, ma dieci anni ammontano al doppio di quelli generalmente concessi. È stata così avanzata una proposta per un’estensione quinquennale rinnovabile.
Ma, riferisce la Relazione, “la delegazione ucraina ha opposto una netta chiusura, con l’obiettivo dichiarato di veicolare un messaggio politico”. Una posizione sostenuta da Canada e Regno Unito, che “ha infine prevalso, creando un precedente di cui al momento non è ancora possibile valutare pienamente le possibili ricadute”.
Sul tema dei ritardi nelle bonifiche, nel corso della riunione sono stati sottolineati alcuni punti critici: la mancanza di mappatura delle zone contaminate; la complessa orografia di alcuni territori; il perdurare dei conflitti e i conseguenti rischi di sicurezza per gli operatori; le condizioni climatiche avverse.
Ma soprattutto “la scarsità delle risorse umane e finanziarie che, specialmente nel corso dell’ultimo anno e mezzo, sono state quasi totalmente assorbite dal conflitto in Ucraina”. Decisioni difficili, dunque, che ora la scelta americana potrebbe rimettere in discussione.
Perché sicuramente i russi hanno sparso molte mine in Ucraina, meno certo che lo abbia fatto Kiev. Almeno fino ad ora. Il rischio di un grave passo indietro è evidente per una Convenzione che da tutti era ritenuta un vero successo contro quei “subdoli ordigni”, come li ha definiti papa Francesco, capaci di uccidere o mutilare le persone anche dopo molti anni: quasi 6mila nel 2023, l’84% civili, un terzo bambini.
Dalla firma della Convenzione sono più di 50 milioni le mine distrutte, e 164 i Paesi che l’hanno ratificata. Tra i primi l’Italia che per anni è stata tra i maggiori produttori del mondo vendendo su tutti i principali scenari di guerra. Una forte campagna del mondo associativo riuscì a bloccare questo ricchissimo affare, sospendendo vendita e produzione ancor prima della Convenzione.
Però ancora adesso si trovano mine made in Italy sparse sui terreni e ancora mortalmente efficienti. Passi avanti nelle bonifiche sono stati fatti ma ancora una sessantina di Paesi risultano fortemente o parzialmente “infestati”. Così l’impegno a eliminare tutte le mine entro il 2025 appare ormai impossibile. E certo la decisione Usa non aiuta. Anzi peggiora la situazione.