Ucraina, assemblea dell’Onu per riguadagnare la pace
Per chiunque sarebbe molto difficile derubricare a “danni collaterali” la madre a terra assieme ai figli, uccisi da una bomba mentre con valigia e zainetti cercavano di sfuggire ad un destino non meritato.
Con quella immagine negli occhi è molto difficile immaginare una scala di valori o di interessi capaci di indurre un agire così disumano, ma al di là dei propri sentimenti e della propria logica, il “farsi uno” è l’unica via per concepire soluzioni negoziali che ci possano far uscire da questo incubo.
Farsi uno con tutti è l’impegno dei diplomatici, che contempla coraggio ed anche eroismo, come quello dello svedese Dag Hammarskjöld, il cui aereo nel 1961 cadeva in Africa, forse abbattuto, mentre come segretario dell’ONU si muoveva per riguadagnare la pace fra le nazioni di quel continente, lo stesso in cui un anno fa cadeva in missione umanitaria anche il nostro ambasciatore Luca Attanasio.
Oggi è necessario, malgrado le imbarazzanti affermazioni di entrambi, impegnarsi a guardare il mondo dal punto di vista del Patriarca Kirill e del presidente Putin: del primo, se la stampa a trasmesso correttamente il suo pensiero, è difficile condividere l’atteggiamento medievale di chi si affida alle armi per combattere una cultura, il secolarismo: più semplice comprendere il desiderio di Putin di rivendicare il ritorno della Crimea alla Russia, affidata in amministrazione dall’URSS all’Ucraina molto prima del referendum dell’indipendenza; comprensibile anche che sia riconosciuta una certa autonomia alle regioni di confine abitate da persone della sua lingua.
Dal referendum dell’Ucraina divenuta democratica sono però trascorsi trent’anni che hanno inciso sull’animo della gente al di là della lingua parlata, come dice la determinazione a difendere la democrazia per i propri figli anche a costo della vita del popolo ucraino nella sua interezza, russofoni inclusi.
Un fattore che Putin ha sottovalutato e che sta rendendo complicata la sua conquista dell’Ucraina: lo confermano testimoni affidabili che affermano per diretta esperienza che i rifornimenti dell’esercito russo bastavano per una attività di cinque giorni: ma ne sono passati già tre volte tanto.
Putin ha sottovalutato anche l’interesse per l’Ucraina dell’Europa, che questa volta si sta dimostrando solidale e pronta ai sacrifici per le sanzioni e l’abbandono delle attività in Russia.
Una Europa determinata anche a liberarsi quanto prima dalle importazioni di gas e petrolio, principali risorse economiche russe, nel breve termine con il ritorno al carbone e al gas naturale americano da fracking, ambientalmente dannoso, ma con una determinazione che contribuirà ad accelerare la conversione alle energie rinnovabili ed al risparmio energetico.
Oggi quindi, come sembra sia propensione del coraggioso presidente ucraino Volodymyr Zelensky, sarebbe urgente offrire a Putin una alternativa al reagire alle presenti difficoltà con un inasprimento del conflitto, che comporterebbe una rottura della Russia con quel mondo occidentale a cui storicamente appartiene.
Alternativa che potrebbe essere una risoluzione, senza possibilità di veti, della Assemblea Generale dell’ONU, che richieda la fine delle ostilità ed il ritiro degli eserciti stranieri dall’Ucraina, con l’impegno del parlamento ucraino di indire sotto controllo internazionale entro sei mesi un Referendum esteso a tutte le regioni dell’Ucraina, compresa la Crimea, in cui i cittadini residenti da almeno un anno possano optare per la appartenenza all’Ucraina o alla Russia.
La compilazione delle liste dei votanti, le strutture di raccolta dati a livello regionale e centrale dei risultati e le votazioni in ogni sezione dovrebbero essere effettuate con un presidente di seggio ed un interprete nominati dall’ONU tra personale qualificato di tutte le nazioni in esso rappresentate.
L’ONU dovrebbe anche monitorare la realizzazione dell’impegno di Russia e di Ucraina di istituire nelle regioni in cui dal referendum risultasse una opzione perdente superiore al 30 %, di amministrazioni dotate di adeguata autonomia per la salvaguardia sociale e culturale della minoranza linguistica.