Ucraina, aspettando la “Grande Battaglia”
Mariupol è indiscutibilmente la città-martire di questa guerra che oppone Russia (e alleati dichiarati o meno) contro Ucraina (e i suoi partner europei e occidentali). Sembra proprio che sia scoccata l’ora della resa da parte dei soldati di Kiev, compresa la tanto chiacchierata Brigata Azov, che avrebbe idealità simili a quelle naziste. Al di là delle speculazioni ideologiche (difficile rispondere chi sia più simile ai nazisti), sta di fatto che, con grande probabilità la città sul Mare d’Azov cadrà nelle mani dei russi.
Salvo tuttavia sorprese sempre possibili, dovute al fatto che forse Zelensky e i suoi, sentendo il profumo di una possibile rivincita, venderanno a carissimo prezzo la loro pelle, prolungando il conflitto ancora per mesi, o forse anni. O forse rinunceranno a Mariupol, ormai ridotta a un terreno di macerie, ma vorranno riconquistare parte delle terre perse nella lunga e strisciante guerra del Donbass, dal 2014 in qua.
Nel caso in cui Mariupol cadesse rapidamente, Putin potrebbe così dire di aver vinto la campagna d’Ucraina, anche se in realtà, con la forza d’urto messa in gioco, teoricamente avrebbe dovuto entrare da conquistatore non solo a Mariupol ma soprattutto a Kiev e forsanche a Leopoli.
E così forse la guerra finirà con un trattato che darà una forte autonomia al Donbass di Lugansk e Donetsk, se non addirittura la loro indipendenza, e permetterà ai russi di avere un accesso terrestre alla Crimea, che tornerà definitivamente russa dopo il “regalo” di Kruscev del 19 febbraio 1954.
Ma l’Ucraina, mantenendo le posizioni a Odessa e riconquistando parte delle province di Lugansk e Donetsk, potrebbe anch’essa dichiarare la sua vittoria non solo morale – quella vittoria in fondo l’hanno già messa in conto, dopo aver costretto alla ritirata l’armata russa dalle regioni di Kiev, di Chernobyl e del Nord – ma anche territoriale, magari con la riconquista di qualche pozzo per l’estrazione del gas metano.
Uno scenario possibile, ma come sempre incertissimo. Certo è che, una tale vittoria condivisa – sembra un post-elezioni italico, dove tutti vincono sempre – toglierebbe molte castagne dal fuoco per entrambe i contendenti e per i loro alleati.
C’è così da sospettare che, anche se non lo confesseranno mai, le cancellerie europee vedrebbero di buon occhio questa soluzione della rapida caduta di Mariupol nelle mani delle milizie di Mosca e della riconquista di qualche brandello di Donbass da parte di Kiev, che permetterebbe di non dover interrompere brutalmente le forniture di gas dalla Russia, misura altamente antipopolare e che farebbe probabilmente crescere a dismisura quella opaca zona populista che tanto sta prendendo spessore in Francia.
C’è pure da sospettare che Macron sarebbe ben felice di vedere attorno ad un tavolo, o perlomeno farne l’annuncio, prima del secondo turno delle sue elezioni presidenziali, Putin e Zelensky, magari ritagliandosi una fetta del merito di aver voluto la pace a ogni costo. Ma queste cose non vanno dette sui giornali, restano quel “non detto” che la politica ha sempre di riserva per evitare il peggio e per aprire la strada al negoziato e al compromesso.
Oggi come oggi, dunque, non si conoscono i risultati della Grande Battaglia, che in tanti si spera sia il più breve e il meno cruenta possibile, per risparmiare vite umane, in primis dei civili inermi. Resta pure l’incognita, più lontana purtroppo, delle condizioni della fine della guerra, del permanere o meno dell’embargo e delle ritorsioni, della ricucitura dei rapporti tra Unione europea e Russia. Mentre la Cina sta alla finestra a guardare, al solito preoccupata dalla riduzione del commercio mondiale, mentre deve fare i conti con una nuova ondata pandemica, inattesa e destabilizzante.
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