Ucciso mentre cercava di sedare una rissa: Udine piange Shimpei Tominaga
Ha davvero scosso Udine la storia di Shimpei Tominaga, cinquantaseienne di origine giapponese che da vent’anni risiedeva in città per occuparsi della sua ditta di import-export, morto dopo quattro giorni di agonia in seguito ad un’aggressione subìta nella notte tra il 21 e il 22 giugno. Subìta perché, a quanto ricostruito, aveva preso le difese di un giovane ferito in una rissa.
Le indagini sono ancora in corso. Stando a quanto sinora reso noto dagli inquirenti, tutto è scaturito da un diverbio per cause ancora da chiarire tra due giovani ucraini residenti a Pescara – Oleksander Vitaliyovic Petrov e Ivan Boklach – e tre giovani residenti in provincia di Treviso – Samuele Battistella, Daniele Wedam e Abd Allah Djouiamaa – poco dopo le tre del mattino.
Petrov, ferito nella rissa, è fuggito verso un negozio di kebab per cercare aiuto; e lì l’hanno raggiunto i suoi inseguitori. Il titolare e i tre avventori, tra cui Tominaga, hanno cercato di calmarli e di farli desistere. Proprio l’imprenditore giapponese è stato l’ultimo ad intervenire per riportare la calma; ma è stato colpito da Battistella con un pugno in pieno volto, candendo a terra e procurandosi lesioni al cranio che alla fine sono state fatali. I giovani coinvolti nella rissa si sono dati alla fuga, ma sono stati fermati pochi minuti dopo da una pattuglia della polizia. Le condizioni di Tominaga sono apparse sin da subito disperate, tanto che la moglie e il figlio tredicenne si sono immediatamente messi in viaggio dal Giappone; finché il 25 giugno è stata dichiarata la morte cerebrale. Wedam, Djouiamaa e Battistella rimangono in carcere, con quest’ultimo ora chiamato a rispondere dell’accusa di omicidio preterintenzionale. Da chiarire anche eventuali precedenti, dato che un’altra persona avrebbe dichiarato di essere stata aggredita dallo stesso gruppo.
La cosa, come dicevamo, ha scosso moltissimo la città. In primo luogo perché Tominaga ha pagato con la vita un atto di altruismo e senso civico. Anche il sindaco, Alberto Felice De Toni, ha infatti dichiarato nel suo messaggio di cordoglio che «è soprattutto per il suo ultimo, coraggioso gesto che desidero ricordarlo oggi. Nel tentativo di sedare un atto di violenza nel nostro centro cittadino ha dimostrato un eccezionale senso di responsabilità civica e altruismo, pagando con la propria vita. In un’epoca in cui troppo spesso restiamo indifferenti rispetto al prossimo, il suo sacrificio rappresenta un esempio di umanità e coraggio, valori di cui la nostra società ha sempre più bisogno». Di qui la decisione di proclamare il lutto cittadino per il 26 giugno.
Ma il tragico evento ha avuto ancora maggior risonanza anche perché la città, nota per essere tranquilla, è stata investita nell’ultimo anno da una serie di episodi di violenza. Si tratta perlopiù di risse tra bande rivali (anche baby gang) legate alla piccola criminalità e allo spaccio “spicciolo” (ci si passi il termine, che non ne vuole sminuire la gravità); o tafferugli tra gruppi di minori stranieri non accompagnati, che – a detta degli stessi operatori che li seguono – provengono in massima parte da situazioni problematiche, legate sia alla vita precedente al viaggio che al viaggio stesso (Udine è uno dei punti di arrivo in Italia della tristemente nota rotta balcanica). Si capisce quindi come la percezione dell’insicurezza sia cresciuta più che proporzionalmente rispetto alla crescita della criminalità effettiva: già in tempi non sospetti si sarebbe potuto obiettare che Udine la sera si svuota, e tanto più ciò accade ora, con gli esercenti del centro che riferiscono un calo a picco degli avventori.
Di qui la necessità e la volontà di fare qualcosa, al netto delle polemiche politiche – un esponente dell’opposizione è arrivato a chiedere le dimissioni di sindaco, questore, e di una serie di altre cariche istituzionali, per non aver saputo garantire la sicurezza. Sono subito state varate misure come l’aumento delle pattuglie di polizia in città – con il sindacato Siulp che ha ricordato come le forze dell’ordine stiano affrontando una drammatica carenza di personale, soprattutto dopo la controversa decisione di impiegare forze consistenti per pattugliare valichi di confine con la Slovenia; il divieto di vendere alcolici in alcuni orari serali e notturni, diversi a seconda dei quartieri (dato che le risse avvengono spesso in stato di alterazione alcolica).
Il dibattito però va al di là di queste misure, e porta ad interrogarsi sulle cause sociali di questa violenza: nemmeno l’immigrazione da sola basta a spiegarla, dato che non tutte le persone coinvolte sono immigrate. Si discute molto non solo del giro di vite da dare sul fronte della repressione, ma anche delle attività educative da portare avanti nelle scuole, del sostegno sia finanziario che logistico da dare alle attività economiche del centro che possono funzionare a loro volta da presidio di sicurezza. Tema cruciale poi è quello di come rivitalizzare la città in maniera costruttiva, così da incoraggiare il fatto di “viverla” e scoraggiare viceversa attività illecite: ci sono diversi esempi in città di festival di strada e nei parchi, cinema, giochi e concerti all’aperto, e altre manifestazioni che vanno proprio fisicamente ad occupare spazi che altrimenti sarebbero luogo di degrado e potenzialmente di criminalità. Il tutto capendo e non banalizzando la paura, ma spingendo a reagire.